martedì 30 dicembre 2008

KALANDA, STRINA EIRESIONI

Nella Grecìa Salentina, da molti secoli e fino ad oggi dei suonatori cantano la strina per le strade dei paesi vicino alla gente che viene ad ascoltare le canzoni di natale. Però pochi anni fa i suonatori con tamburelli, organetti e sonagliere varie andavano anche di masseria in masseria a cantare l’arrivo del natale e dell’anno nuovo ed avevano in cambio uova, formaggio ed altre cose…

“adesso che sono arrivato qua nella masseria
benedico la strada ed il limitare
benedico la madre ed i figli
dopo il padre che è il generale”

nella Grecia cantavano canti come quelli della strina, i “Kalanda” (“calendae” nella vecchia lingua romana) che significa che sta per iniziare il mese e l’anno nuovo. kalanda sono le canzoni delle feste di Natale e dell’Anno Nuovo ed anche dell’Epifania. Ogni festa ha il proprio canto ed i ragazzini lo cantano in tutta la Grecia. Ragazzi con tamburelli flauti e fisarmoniche vanno insieme di casa in casa e gridano dietro le porte: ” Le diciamo?” La padrona apre la porta per concedergli il permesso di cantare “ Arciminià ce arcichronià ce arcikalos-ma chronos” per l’arrivo del Nuovo Anno e “Cristùghenna protughenna” per l’arrivo di Natale. Pochi anni fa, una volta che i ragazzini avevano cantato, venivano offerti loro dolci ed uova, adesso vengono loro dadi dei soldi.
Nell’antica Grecia questi canti venivano chiamati “Eiresioni”, ha scritto Omero. Allora i ragazzi tenevano una nave che stava a significare l’arrivo del dio Duonisio. Cantando i ragazzi andavano di casa in casa e davano la benedizione alla padrona e questa dava loro dolci ed uova.
THEONIA

domenica 28 dicembre 2008

Ci hanno scritto in italiano...

Gentilissimo Direttore,
ho seguito con interesse e affetto le varie uscite del vostro periodico; ho letto e riflettuto a lungo sui contenuti e sulla sostanza dei vostri articoli, ripromettendomi prima o poi di intervenire, per esprimere (sempre che voi le riteniate valide) alcune mie considerazioni.
Tralasciando la scrittura sulla cui utilizzazione ci sarebbe molto da discutere (afsinikò, piuttosto che atsinikò, o atsinitò che dir si voglia, ecc..), o i varii significati che si vogliono collocare alle parole (ma pèfto, o pètto, come direi io, non vuol dire cado? E per dire mandare non bisogna dire arìdzo, o rìdzo come direbbero i miei amici di calimera e di Martano, contrariamente a quanto si legge sul glossario del numero di "alonari" u.s.?...), vedrei la necessità di rendere la lettura a chi non è parlante e pensante in griko, molto più agevole, eliminando: dz, ts, fs, sostituendole con "z" (dolce) e "zz" (aspra); ed eliminando ogni volta che la parola successiva non inizi con una vocale, la "enne" finale, aiutando la giusta dizione con il rafforzamento della consonante iniziale. In definitiva voi direnste, ad esempio: a' pao na s'afsikkòso (o: ... na s'atsikkòso) ...su priggo to' muso; mentre secondo me sarebbe più agevole: a'ppao na s'azziccòso su proggo to'mmuso; eliminando, per altro tutte quelle inutili "k" che altro non danno se non un tono di colore a una lingua già di per sé molto complicata per chi non la conosce profondamente. La "k" ha già una sua collocazione naturale nella scrittura grika quando deve distinguere: kiatèra quando distrattamente verrebbe la tentazione di scrivere chiatèra, o: chècci per kècci, ecc...
Direttore, bisogna facilitare la lettura a chi si accosta al griko (grico) per la prima volta, scrivendo il più possibile le parole nel modo in cui si pronunciano... in attesa di uniformare universalmente la scrittura in tutte le occasioni, a partire da questo bel periodico, orgoglio della gente grika (grica... perdonate l'insistenza) e soprattutto nelle scuole, onde evitare che al cambio dell'insegnante di turno cambi anche il modo di scrivere e di interpretare la nostra "calìn glossa"; con grande disorientamento da parte dei poveri alunni..!
Sas cheretò me ti'ccardìa!
Gianni De Santis (Sternatia)

Caro Gianni,
ti ringrazio a nome della redazione per la tua lettera che arricchisce la nostra discussione sul sistema di scrittura della lingua e ne apre un capitolo a proposito delle scelte lessicali. Concordo con te sulla discutibilità del nostro sistema di scrittura, anzi dovrei dire dei nostri sistemi di scrittura poiché abbiamo a suo tempo fatto la scelta di dare libertà ai redattori di sperimentare le proprie soluzioni in attesa di trovare un accordo condiviso per un sistema omogeneo che consenta di evitare confusione nei lettori. Mi concederai spero anche la facoltà di considerare discutibili le scelte in questo campo fatte da tutti coloro che si sono cimentati nella scrittura del griko.
Parlerò ora a titolo personale, non potendo esprimere ad oggi una posizione comune della redazione. La mia opinione è che nella scelta dell’alfabeto e della convenzione di scrittura del griko debbano essere prese in considerazione delle priorità fra cui certamente quella della massima comprensibilità da parte dei grikofoni alfabetizzati sulla base dell’italiano deve avere un posto di prim’ordine, ma non di esclusiva. A questa priorità infatti aggiungo: la rappresentazione di tutti i fonemi caratteristici del griko; la corrispondenza bi-univoca fra fonema e grafema, un ideale che difficilmente si vede applicato nelle lingue ma a cui ritengo si debba tendere per rendere il sistema facile ed evitare ogni fonte possibile di confusione; il rispetto dell’identità e unicità dei lemmi. Altre priorità potrebbero essere più controverse: c’è chi potrebbe preferire una scrittura che rispecchi maggiormente l’etimologia o che tenda ad avvicinarsi alla traslitterazione del greco moderno ed antico in caratteri latini. Ancora, al giorno d’oggi non di poca importanza potrebbe essere la compatibilità dell’alfabeto con il set di caratteri presente nella tastiera italiana dei computer. L'armonizzazione di queste diverse istanze non è semplice, di certo nella situazione in cui versa la lingua non può che prevalere la massima semplicità e comprensibilità.
La scelta di utilizzare il “fs” è stata fatta da un autore in parte per la sua origine martanese ma soprattutto per un razionale ben preciso e da lui spiegato nella nostra rubrica “pos enna gràtsome grika”: il tentativo di unificare nella grafia l’esito di Ψ e Ξ che nei diversi paesi si è diversificato in zeta aspra, fs/ss e sc. Si tratta di una soluzione che può ritenersi discutibile per varie ragioni, ma tuttavia va riconosciuto che ha una sua razionalità e che può essere criticata, ma con argomentazioni serie, non liquidata con una scrollata di spalle. Pefto può voler dire cado, ma anche invio (dal greco πέμπω), ed è un lemma attestato da diversi autori fra cui il Rohlfs a Calimera e Martano, evidentemente ancora presente dato il fatto che è stato usato sulla Spitta in una trascrizione di una intervista originale eseguita dall’autore. Certo, avremmo fatto meglio forse a precisare nel glossario il paradigma completo (petto, èpetza o “pefto, èpefsa”) per far capire che il riferimento non era al verbo “petto, èpesa”. Diverso può essere il caso di scelte lessicali fatte per arricchire il vocabolario con neologismi e prestiti, cosa che io cerco di limitare al minimo ma che non ritengo a priori un tabù perchè in letteratura è così che una lingua cresce e si evolve, non facciamo del Griko una mummia da esposizione!
Per quanto riguarda la soluzione che tu proponi per differenziare zeta dolce (dz) da zeta aspra (ts/tz) utilizzando z e zz, personalmente la trovo sensata, sebbene io ritenga che non sia scontato che il lettore riconosca immediatamente la zz come aspra, essendo usata nell’italiano con entrambe le pronunce. Inoltre, andrebbe o no portata fino in fondo, scrivendo quindi “senzza” e “speranzza”?
Sulla elisione della consonante finale anch'io sono abituato ad praticarla, anche se ho adottato una soluzione proposta sul giornale da Carmine Greco che lascia al lettore l'onere di pronunciare la seguente consonante assimilata doppia. Credo però che l'elisione in grafia della consonante finale crei facilmente nel lettore che conosce poco la lingua la falsa impressione che il Griko abbia perso le consonanti finali.
Sull’uso della C latina ed italiana al posto della K trovi d’accordo almeno un componente della redazione, io stesso pur abituato a scrivere in griko con la K ritengo l’ipotesi ragionevole. Tuttavia non trovo così scontata la tua affermazione secondo la quale la K avrebbe una collocazione “naturale” in griko nella sostituzione di chi/che italiani, essendo la ch utilizzata per esprimere l’aspirata. Io sono del parere che la K in griko o c’è, e allora usiamola senza creare ambiguità fonetiche, o non c’è, e allora si trovi un'altra soluzione per l'aspirata.
Insomma, la scelta del sistema di scrittura è un campo dove è facile avere opinioni diverse ed il rischio è di vedere la lingua perdersi completamente mentre noi restiamo a discutere se è meglio la K o la C. Per questo spero che la discussione che avevamo avviato nella redazione, grazie anche al contributo tuo e di altri lettori, ci porti a breve alla scelta di un sistema condiviso il più possibile semplice e rispettoso della lingua.
Francesco Penza

sabato 27 dicembre 2008

A chi dobbiamo scrivere?

Quando abbiamo dato vita a questo giornale, abbiamo voluto scrivere di ogni argomento e in lingua grika, mai italiana. Scriviamo di ogni argomento per mostrare che il griko può comunicare tutto ciò che si vuole e non solo canzoni e favole antiche. Per questo crediamo che questa lingua debba avere un domani. Scriviamo in griko e non in italiano per scuotere un po’ voi che leggete, per avvicinarvi a questa lingua, per farvi impegnare un po’ per capire queste parole senza passare da una traduzione che oggi si trova sempre nei libri che contengono qualche testo griko. Quando scriviamo in griko e manteniamo costantemente il testo italiano a fronte finiamo per tagliare le gambe alla lingua.: quanti perderebbero tempo a leggere il griko se ci fosse sempre accanto comodamente l’italiano che sentiamo in televisione? Noi vogliamo scrivere a coloro che amano il griko e chiunque ami la lingua può perdere un po’ di tempo per capire ciò che scriviamo, magari gli piace anche entrare in un luogo dove il griko non viene lasciato all’ombra di un’altra lingua.
Questo pensavamo allora e ancora ci crediamo. Però neanche vogliamo chiudere le porte a coloro che ci hanno chiesto di mettere una traduzione italiana, che sono molti. Abbiamo capito che c’è qualcuno che ama la lingua ma non la conosce abbastanza bene da leggere senza traduzioni. Abbiamo capito che la Spitta poteva diventare un giornale per élite se non avessimo dato un aiuto a coloro che vogliono imparare la lingua. Inoltre dobbiamo dire che certe volte il griko scritto può restare difficile anche a coloro che già parlano bene griko perché la lingua non viene scritta regolarmente e non c’è un alfabeto condiviso. Per questo abbiamo discusso molto e ci siamo accordati per inserire qualche traduzione in un inserto insieme alla Spitta e tutte le traduzioni sul blog ispitta.blogspot.com. Ma la Spitta resta sempre un giornale griko, che vuole parlare a coloro che sanno il griko o vogliono impararlo.

Francesco Penza

Quanto sei brutta, morte

Non ci piaci per nulla!
Tu anima non hai e né cervello.
Sei stupida, e cieca a me pari e non vuoi bene a nessun uomo.
Grazie non hai e non ti importa che tu uccida il bimbo mentre ride!
Gli stringi il cuore e poi te ne vai!
Li uccidi così’ poveri passerotti!!
Tu ci togli i padri ed anche i figli
Non hai orecchie e senti pianger la madre!
Che piangan le fanciulle nulla t’importa:
la moglie uccidi e rubi il giovanotto.
E porti via chiunque tu incontri.
Tu sei senza testa e senza grazia.
“ Ma cosa tu mi dici, che non amo?
Che non bado alle gioie della terra?
Non son sposata, e son senza figli,
mi crearon così, senza il cuore.
Faccio quel che faccio senza vedere.
Devo lavorare senza ascoltare!
Perché io sia così, mi chiedi tu:
non chiederlo tu a me: chiedi a Gesù

Paolo Dimitri

Le spine della rosa.

Una rosa vidi dietro un muro tanti
boccioli aveva ma già seccati.

Perché- le dissi -mi mostri solo spine:
tante che toccarti io non posso!
Il tuo profumo mostra, apri il bocciolo!”.

“ Giovanotto,cosa vuoi da me,
il buon profumo che un tempo avevo?

L’hanno sentito in tanti , ma poi sen iron lesti;
Mi amaron per un solo giorno solo:
quante parole per rubarmi il miele!

Spariron tutti e mi lasciaron l’ardore!
Ora tra il ghiaccio, o sotto l’arsura
Io faccio spine, solamente.
Fai la tua strada :ascolta che ho da dirti
non mi toccare se non vuoi ferirti!”.

Paolo Dimitri

E non si mosse niente…

Per molti anni a nessuno è importato niente del grico e di coloro che lo parlavano. Non ci fu sindaco o presidente che muovesse dito per questo. Poi all’improvviso sembro cambiare vento, si generò un nuovo amore, un grande amore per il grico. Così sembrava. Dappertutto, qui nei nostri paesi si udivano parole quali “Grecìa Salentina”, Area Ellenofona”, Lingua Minoritaria”. Il grico divenne “Lingua Ufficiale”, misero gli interpreti e ad ogni anno nelle scuole si tengono lezione di grico.
Se fossi una persona che vive lontano, all’estero, conoscendo queste cose avrei soltanto da gioire e ringraziare coloro che hanno lavorato e lavorano perché queste cose possano realizzarsi.
Vivendo qui però capisci che è tutto fumo, tanto fumo negli occhi.
Grecìa Salentina”: “Calòs Irtate (forse ìrtato, la voce ìrtate non esiste nel grico) Stin Grécia salentina” (ben venuti nella Grecia Salentina), così saluta il cartellone gli stranieri che entrano nei nostri paesi, e quel “benvenuti “ è scritto così grande, tanto da far sembrare che stai entrando in una “ area ellonofona” e ti occorra veramente l’interprete per poterti capire con la gente.
Gli Interpreti: dobbiamo ridere o dobbiamo piangere! “Lingua Minoritaria”: con questa parola abbiamo colto nel segno, ogni giorno che passa la lingua diventa sempre più “minoritaria”.
Scusatemi se mi esprimo in questo modo, ma è l’amaro che si prova quando si pensa al grico, alla sorte che gli è capitata e a tutto ciò che si fa per poterlo fare rialzare un po’. Lo so non è facile, e una cosa discola, molto difficile. Non è una piccola pietra dissepolta, un frammento di coccio, un osso che ritrovato che lo chiudi in una vetrina o lo porti in un museo e da lì dentro ti guarda senza chiedere nient’altro; se fosse così, lo so, la teca gliela avrebbero fatta d’oro e non è neanche un giro di pizzica, che se così fosse gli avrebbero costruito il migliore e più bel palcoscenico. Ma non è così, il grico possiede un’anima il grico è vita e non lo puoi chiudere da nessuna parte, non lo puoi chiudere in una teca, in un museo, non lo puoi chiudere in un libro e tanto meno in un disco: sono tutte cose che possono parlare di grico, ma non sono il grico.
La lingua greca affinché viva deve essere parlata. Per cui ciò che possiamo fare è parlare grico. Ma neanche questo è molto facile, ma è l’unica cosa.
Due anni fa è nata l’associazione “Grika Milume” ed è nata proprio con questo scopo: raccogliere gente che tiene per il grico, lo vuole parlare, ascoltarlo, apprenderlo. L’associazione è aperta a tutti, non importa se appartieni alla Grecìa oppure no, è sufficiente nel cuore interesse e amore per le tradizioni e la lingua grica. L’associazione vorrebbe fare tutto ciò che può servire a risvegliare l’interesse per la lingua e quante più strade possono servire a far rialzare il grico vorrebbe percorrerle.
Fino adesso la cosa più visibile che sta facendo è questo giornale. “I Spitta” è il primo giornale che per la prima volta non parla soltanto di grico, ma parla grico e fotografa il grico, adesso, negli anni 2000. Lo distribuiamo in tutti i comuni della Grecìa e arriva in diversi altri luoghi qui in Italia, in Europa e qualcuno anche in America. “I Spitta” si trova nelle bibliotche e nei centri di cultura.
Adesso non è che ci aspettavamo niente, ma una parola, una critica da coloro che sono i rappresentanti istituzionali della Grecìa sarebbero potute arrivare. Di tanti sindaci, qui a Martano sono passati due, Conte e Micaglio e con questi due assessori alla cultura, nessuno ha avuto una goccia di tempo da dedicarci? E la Grecìa Salentina con il suo presidente Sergio… non si è mosso niente e non si muove foglia.
Lo sappiamo, tante altre cose più importanti hanno da fare, ma ciò che è certo le ragioni del grico e tutta la cultura ad esso legata che poi sono le nostre radici, non passano da lì.
Adesso, stando in mezzo a queste cose lo sappiamo, c’è tanta gente che lavora per il grico e con il grico, ma molte volte lo fa in solitudine, ma lavorare da soli non porta molto lontano. Dobbiamo unirci insieme e unire i nostri sforzi: così facendo possiamo continuare la speranza di dare nuova vita al grico.
Si può fare.

Giuseppe De Pascalis

La festa del 14 agosto a Calimera.

Come facemmo lo scorso anno e come, se Dio vorrà, faremo l’anno che venturo,anche quest’anno l’associazione “GRIKA MILUME” insieme alla”Casa Museo della lingua grica e delle tradizioni popolati” ed il gruppo canoro “Malalingua” abbiamo creato una festa per parlare grico, così coloro che sono intervenuti hanno potuto ascoltare canti e poesie in griko e le parole degli antichi.

La sera del 14 di agosto, la luna dondolava in un “biun-mbò” appesa ad una stella che la corteggiava.
Il giorno c’è stato tanto caldo che tutti ci siamo arrostiti. E la luna nel fresco biancore dall’alto ci osservava sorridendoci.
Sul largo “Immacolata”, vicino alla cappella, s’era raccolta un poco di gente,ma la cappelletta non era aperta.
Lì’di fronte, un’antica lapide racconta che in quel posto una volta sorgeva una cappelletta bizantina,dove celebravano la messa in lingua grica. Nessuno mai dei calimeresi si avvicina per leggere.
Cosa è accaduto quella sera quando tanta gente s’era riunita dove la cappella bizantina non c’è più?

Kostas degli Encardia ha intonato un canto bizantino. Cantava da solo e nessuno comprendeva le sue parole.
Conversava con i padri e per gli antichi,forse, lui cantava. O forse,che cantando pregava la Madonna di “finibus terrae” che la nostra gente ha voluto dimenticare!
Un elleno pregava in greco una Madonna grika? Da dietro quella lapide la Madre ascoltò,dopo più di settant’anni, un suo figlio che pregava.
“Nilin” recitava il componimento di
Non v’era altra illuminazione che qualche cero che aveva messo a terra qualche organizzatore, ma poi,v’era la luce della luna che splendeva sui tetti e negli occhi delle giovanette.

Pippi Lefons, tanti anni addietro!

“Ndilin, ndilì, ndilì, ho gridato io sul sagrato della cappella dell’Immacolata,di fronte al palazzo che fu du don Pippi Cappa. Gridai un poco più forte, … ed ho atteso. Ho teso l’orecchio per sentire se
don Pippi stesse continuando a recitare insieme a me la sua poesia.
“Ndilìn, ndilìn, ndilìn!” A dire il vero a me sembrò che anche lui, con la sua sottile voce, dicesse con me:”Ndilin!”.
Ah! La sua poesia!
“Ndilìn , ndilìn” suonava la campanella dell’asilo infantile per chiamare a sé i bimbi di un tempo, alle otto di ogni mattino.
E Pippi desiderava tornar piccolino e, come allora, andare all’asilo. Ma don Pippi Cappa sapeva che non era più quella la campana che lo avrebbe chiamato a sé!
Don Pippi è parecchio che è morto,ma a me è sembrato che ci abbia visti, vicino alla sua casa ad ascoltare quel suo “ndilìn, ndilìn”.
Lo ha sentito anche suo figlio, il dottor Bruno ed anche suo nipote Carmelo.
Io ho sentito che don Pippi è uscito da casa e come tutti noi, ha camminato un po’, fino alla casa di
Giannino Aprile, dove Giovanni Fazzi ha recitato un canto scritto da quel compianto sindaco..
Ed i suoi figli, Paolo ed Andrea, insieme alla madre, la moglie di Giannino, riascoltarono uniti le parole del padre.


Silvano Palamà ha letto una lettera del 1956, dalla quale Giannino raccomandava ai “compagni”
Prodigarsi per il bene della gente di Calimera.
Ed a sua moglie si bagnarono gli occhi nel sentire quella lettera,dopo quarant’anni, quando il marito all’improvviso, morì…

Così, don Pippi e Giannino (che era suo cugino) hanno fatto festa con noi ed hanno riso e scherzato con la gente di oggi.


Nel 1975, qui a Calimera, venne a trovarci Pier Paolo Pasolini, per ascoltare le nostre poesie: amava i componimenti poetici popolari dell’Italia intera; ha scritto anche un libro che li contiene.
Morì solo dopo due mesi e Francesca Licci ,la sera del 14 agosto 2008, ha cantato per lui una poesia dello stesso Pasolini, sotto il palazzo Murrone, dove lui era venuto ad ascoltarci.

Lui, così grande poeta, è venuto a sentirci parlare una lingua della quale noi, tante volte, non valutiamo il suo valore.
Così erano tre, quella sera a Calimera: don Pippi, Giannino e Pasolini.
Gli altri che vennero a trovarci non li abbiamo riconosciuti dalla statura o dal loro volto, ma Salvatore Tommasi ci ha detto una poesia di Vito Domenico Palumbo, morto 90 anni fa.
Ci ha raccontato del caldo che , tante volte questa scorsa estate ci ha fatto tanto sudare tanto da non potersi dire.
Credo che don Vito Muntagna ( il Palumbo) si sia molto rallegrato nel constatare che ancora oggi noi sappiamo parlare il grico, dopo tanti anni. La lingua dei padri è dura a morire!

E il Palumbo cosa ha fatto tra l’altro? Ha scritto in grico un po’ del poema di Dante Alighieri.
Ha scritto dell’amore di Paolo e Francesca.
E Maria Renna insieme al marito che traduceva, ce lo ha recitato, in un cortile antichissimo, dietro la chiesa madre.
Dopo, presso il sagrato della chiesa Renato ha recitato la preghiera del “Pater noster” ,sempre del Palumbo.
Abbiamo poi cambiato strada ed anche canzoni.

In via Costantini intonò il suo canto, Luigi Garrisi e la sua ragazza.
Anche il gruppo degli Encardìa suonarono con le loro chitarre, violini e fisarmonica!

Anche i trapassati di quella via si svegliarono a cantare con noi! E in mezzo alla festa Francesca intonò delle antiche ninne nanne ed io in italiano ho letto la poesia di Palumbo che ricorda sua madre, quando andava a raccogliere i fiori di gelsomino che componeva in corona vicino alla statuetta della Madonna, prima di pregare per suoi figlio lontano.

Alla fine abbiamo cenato tutti insieme: io, Silvano,Francesca, Giovanni , Dina , Colaci… e tutta la gente che aveva seguito il nostro itinerario per sentirci recitare.


A proposito: Ci rivedremo fra un anno in via Costantini.
Cominceremo a suonare da vicino alla sartoria di Colaci.
Luigi, accendi l’insegna!

Paolo DI MITRI (23 novembre 2008)