martedì 1 gennaio 2008

Parlando col mio amico Luigi

Parlando con il mio amico Luigi (di Sabatino), ho appreso che la festa di sant’Antonio era la festa in cui addobbavano le strade con i lampioni accesi. Non era per san Luigi. Facevano i lampioni, il falò e anche la cuccagna. Poi quando giungeva il giorno di san Luigi facevano un’altra festa con i lampioni che non si erano rotti o bruciati, visto che prima mettevano dentro i lampioni delle candele accese per fare luce colorata. Che lampioni? Costruivamo stelle, orologi, la luna gli aerei, le sfere e parecchie piramidi, ma i più grandi lampioni rappresentavano le navi e le stelle.
Nessuno dei bambini aveva i soldi per comprare le canne oppure la carta colorata per i lampioni e quindi, bisognava andare a trovare ciò che ci bisognava: “dovevamo trovare la carta e le canne e la farina di grano duro mischiato col miele per renderlo più appiccicaticcio. Potevamo prendere le canne dalle paludi di Roca, vicino alle acque, dove vivono tanti grandi uccelli e fiori acquatici dove dicono che anno casa le Nereidi. Io credevo che quelle donne ti vengono di fronte, se tu passi vicino alle acque della palude! Credo che c’erano veramente, perchè poco più avanti c’è ancora, in mezzo al mare, un posto incantevole che chiamano “Jannàra” che a Napoli vuol dire maga. Il De Ferraris ce lo ha scritto quando ha affermato che il paese di Nardò è stato chiamato dai Latini “ Neretum” perchè lì c’è molta acqua che sgorga da sottoterra e che quel posto fecondo era popolato dalle nereidi da cui il nome .
La gente crede che tra le canne delle paludi ci siano le nereidi: ti ballano intorno, dopo che è passata mezzanotte e ti fanno perdere la memoria per sempre. Questo dicevano pure i greci che arrivarono qui da noi tempo addietro!
Mi ha detto un archeologo del luogo ieri sera che, sotto il suolo di Roca ha trovato moltissimi repèrti Micenèi, anzi Minoici che sono ancora più antichi. Mi ha riferito che questo popolo abitava la nostra terra nel 1600 avanti Cristo. E questa è la notizia che ci viene da Roca.
Parliamo di canne! Le tagliavamo, poi andavamo a fare il bagno al mare, dopo cercavamo qualche anima buona che caricasse sul traino le canne per portarcele a Calimera. Per recuperare i soldi mettevamo in un piattino un’immagine di sant’ Antonio ed andavamo casa per casa a chiedere qualche monetina.
Tra le strade, con i piedi nudi sporchi di polvere di tufo, chè allora non v’erano le strade asfaltate.” Qualche volta mandavano me perchè ero il più piccolo, e quelli grandicelli si vergognavano a cercare, casa casa, i soldi ; c’era qualcuna che non ci dava nulla e ci diceva:” Vai da qui! Questo è il sant’Antonio delle ciliegie, vero?” Così mi dicevano. Dopo aver comprato la cartaoleata (rubavamo da casa la farina), cominciavamo a costruire i lampioni.
Andavamo dentro qualche cortile più grande: allora i bimbi amavano costruire gli aeroplani, perchè ancora c’ era la seconda guerra mondiale. Legavamo con lo spago le canne spaccate in listarelle, come ci servivano e facevamo ciò che ci piaceva. Ogni strada faceva la sua festa e vi erano una diecina di ragazzini dai dieci fino ai dodici anni.
Mi ha detto Luigi di Sabatino:” Legavamo sulle terrazze un filo che fosse un poco più resistente e poi sopraci le davamo i lampioni. Mettevamo candele dentro i lampioni e la luce ci sembrava bella dentro la cartaoleata di tanti colori.
Poi dovevamo fare il falò ( la fòcara) e bisognava trovare le fascìne e andavamo in giro per i forni dove facevano in pane e ci davano qualche legno o un poco di fascina o foglie secche, ma noi mettevamo per il fuoco tutto ciò che trovavamo nei campi, anche piante di rovo. La fòcara veniva accesa alle dodici della notte tutti i bambini gridavano e saltavano vicino al fuoco. Dentro gli occhi avevamo le fiamme della fòcara quando dormivamo nel lettino e aspettavamo che arrivasse presto ilo giorno per andare ancora vicino alla fòcara. Poi, quando albeggiava, andavamo correndo a vedere se la focàra si fosse spenta o no. Se aveva ancora un poco di fuoco, noi tutti bambini saltavamo la focara senza bruciarci per mostrare il nostro valore. Se s’era già spenta, saltavamo sulla focara per spegnere anche le scintille e disperdere la cenere intorno per cancellarne le tracce e tornare alla quotidianità ( alla prima mattina portavamo le scarpe, ma le toglievamo appena il sole s’alzava) e gridavamo qualche parola che non ricordo più.
Poi cominciavamo i litigi per stabilire quale strada avesse fatto la focara più grande o i lampioni più belli. E così arrivava, dopo una settimana, la festa di san Luigi.
Mettevamo i lampioni che erano rimasti dalla festa di sant’ Antonio, quelli che non si erano accesi e facevamo la festa del povero san Luigi che aveva il volto così pallido nella statua della Chiesa
Madre. Ma il santo che era il maggiore era sant’Antonio e la focara, non è allora che bruciano anche le stoppie nei campi? Poi facevamo la cuccagna per sant’ Antonio e sceglievamo il palo più alto che potevamo.
Per la verità facevano la cuccagna i ragazzi più grandi, anzi erano i giovanotti, perchè la cuccagna era cosa da grandi. Sopra vi appendevano una o due forme di formaggio, un poco di salsiccia, un fiasco di vino o un litro di rosolio che aveva fatto la nonna a casa, e qualche chilo di pasta comprata,più buona di quella che faceva la mamma a casa nostra. Spargevano tutta la cuccagna col sapone estratto dai resti dell’olio: ogni famiglia faceva a casa il sapone con l’olio sporco e il grasso delle capre.
Ogni squadra di quattro o cinque giovanotti si sforzava per raggiungere la cima della cuccagna.
Salivano te o quattro ragazzi sopra il giovane più robusto che doveva reggere gli altri sopra le sue spalle e quello più veloce, oppure colui che era più piccoletto si impegnava a salire più in alto per arrivare quanto più riusciva vicino al formaggio e il vino nero di Marvasìa!
Ma v’era il sapone che lo faceva cadere giù. Tutte le ragazze guardavano parlottando sul giovane più valoroso o di quello più bello. Prendevano coraggio e gli dicevano qualche cosa e loro si rallegravano e facevano di più per raggiungere la cima per mostrare ciò che sapevano fare.
Erano vestiti con una camicia bianca, pantaloncini corti e erano senza scarpe, per reggersi meglio sulla cuccagna. E molte volte, colui che era in alto ed era lì lì per raggiungere le cose buone che erano sulla cuccagna, non poteva più reggersi e cadeva giù trascinando con sè anche coloro che lo reggevano.
La squadra che arrivava a prendere le cose buone sulla cuccagna, li dividevano fra loro oppure andavano a mangiare tutti insieme e a bere tutto quel vino una volta tanto.
Quella festa era legata a quella di san Giovanni, che era la festa dell’estate, il giorno più lungo dell’anno!
La notte prima che sorgesse il giorno di san Giovanni le ragazze di Calimera rompevano in un piatto pieno d’acqua, un uovo e lo lasciavano sotto la luna e la rugiada tutta la notte. Al mattino potevano conoscere il mestiere che avrebbe fatto il giovanotto che avrebbero sposato. Guardando la forma che il bianco d’uovo aveva assunto. Le giovani donne chiedevano aiuto a san Giovanni perchè lui è il santo dei compari.

Paolo Di Mitri

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