martedì 30 dicembre 2008

KALANDA, STRINA EIRESIONI

Nella Grecìa Salentina, da molti secoli e fino ad oggi dei suonatori cantano la strina per le strade dei paesi vicino alla gente che viene ad ascoltare le canzoni di natale. Però pochi anni fa i suonatori con tamburelli, organetti e sonagliere varie andavano anche di masseria in masseria a cantare l’arrivo del natale e dell’anno nuovo ed avevano in cambio uova, formaggio ed altre cose…

“adesso che sono arrivato qua nella masseria
benedico la strada ed il limitare
benedico la madre ed i figli
dopo il padre che è il generale”

nella Grecia cantavano canti come quelli della strina, i “Kalanda” (“calendae” nella vecchia lingua romana) che significa che sta per iniziare il mese e l’anno nuovo. kalanda sono le canzoni delle feste di Natale e dell’Anno Nuovo ed anche dell’Epifania. Ogni festa ha il proprio canto ed i ragazzini lo cantano in tutta la Grecia. Ragazzi con tamburelli flauti e fisarmoniche vanno insieme di casa in casa e gridano dietro le porte: ” Le diciamo?” La padrona apre la porta per concedergli il permesso di cantare “ Arciminià ce arcichronià ce arcikalos-ma chronos” per l’arrivo del Nuovo Anno e “Cristùghenna protughenna” per l’arrivo di Natale. Pochi anni fa, una volta che i ragazzini avevano cantato, venivano offerti loro dolci ed uova, adesso vengono loro dadi dei soldi.
Nell’antica Grecia questi canti venivano chiamati “Eiresioni”, ha scritto Omero. Allora i ragazzi tenevano una nave che stava a significare l’arrivo del dio Duonisio. Cantando i ragazzi andavano di casa in casa e davano la benedizione alla padrona e questa dava loro dolci ed uova.
THEONIA

domenica 28 dicembre 2008

Ci hanno scritto in italiano...

Gentilissimo Direttore,
ho seguito con interesse e affetto le varie uscite del vostro periodico; ho letto e riflettuto a lungo sui contenuti e sulla sostanza dei vostri articoli, ripromettendomi prima o poi di intervenire, per esprimere (sempre che voi le riteniate valide) alcune mie considerazioni.
Tralasciando la scrittura sulla cui utilizzazione ci sarebbe molto da discutere (afsinikò, piuttosto che atsinikò, o atsinitò che dir si voglia, ecc..), o i varii significati che si vogliono collocare alle parole (ma pèfto, o pètto, come direi io, non vuol dire cado? E per dire mandare non bisogna dire arìdzo, o rìdzo come direbbero i miei amici di calimera e di Martano, contrariamente a quanto si legge sul glossario del numero di "alonari" u.s.?...), vedrei la necessità di rendere la lettura a chi non è parlante e pensante in griko, molto più agevole, eliminando: dz, ts, fs, sostituendole con "z" (dolce) e "zz" (aspra); ed eliminando ogni volta che la parola successiva non inizi con una vocale, la "enne" finale, aiutando la giusta dizione con il rafforzamento della consonante iniziale. In definitiva voi direnste, ad esempio: a' pao na s'afsikkòso (o: ... na s'atsikkòso) ...su priggo to' muso; mentre secondo me sarebbe più agevole: a'ppao na s'azziccòso su proggo to'mmuso; eliminando, per altro tutte quelle inutili "k" che altro non danno se non un tono di colore a una lingua già di per sé molto complicata per chi non la conosce profondamente. La "k" ha già una sua collocazione naturale nella scrittura grika quando deve distinguere: kiatèra quando distrattamente verrebbe la tentazione di scrivere chiatèra, o: chècci per kècci, ecc...
Direttore, bisogna facilitare la lettura a chi si accosta al griko (grico) per la prima volta, scrivendo il più possibile le parole nel modo in cui si pronunciano... in attesa di uniformare universalmente la scrittura in tutte le occasioni, a partire da questo bel periodico, orgoglio della gente grika (grica... perdonate l'insistenza) e soprattutto nelle scuole, onde evitare che al cambio dell'insegnante di turno cambi anche il modo di scrivere e di interpretare la nostra "calìn glossa"; con grande disorientamento da parte dei poveri alunni..!
Sas cheretò me ti'ccardìa!
Gianni De Santis (Sternatia)

Caro Gianni,
ti ringrazio a nome della redazione per la tua lettera che arricchisce la nostra discussione sul sistema di scrittura della lingua e ne apre un capitolo a proposito delle scelte lessicali. Concordo con te sulla discutibilità del nostro sistema di scrittura, anzi dovrei dire dei nostri sistemi di scrittura poiché abbiamo a suo tempo fatto la scelta di dare libertà ai redattori di sperimentare le proprie soluzioni in attesa di trovare un accordo condiviso per un sistema omogeneo che consenta di evitare confusione nei lettori. Mi concederai spero anche la facoltà di considerare discutibili le scelte in questo campo fatte da tutti coloro che si sono cimentati nella scrittura del griko.
Parlerò ora a titolo personale, non potendo esprimere ad oggi una posizione comune della redazione. La mia opinione è che nella scelta dell’alfabeto e della convenzione di scrittura del griko debbano essere prese in considerazione delle priorità fra cui certamente quella della massima comprensibilità da parte dei grikofoni alfabetizzati sulla base dell’italiano deve avere un posto di prim’ordine, ma non di esclusiva. A questa priorità infatti aggiungo: la rappresentazione di tutti i fonemi caratteristici del griko; la corrispondenza bi-univoca fra fonema e grafema, un ideale che difficilmente si vede applicato nelle lingue ma a cui ritengo si debba tendere per rendere il sistema facile ed evitare ogni fonte possibile di confusione; il rispetto dell’identità e unicità dei lemmi. Altre priorità potrebbero essere più controverse: c’è chi potrebbe preferire una scrittura che rispecchi maggiormente l’etimologia o che tenda ad avvicinarsi alla traslitterazione del greco moderno ed antico in caratteri latini. Ancora, al giorno d’oggi non di poca importanza potrebbe essere la compatibilità dell’alfabeto con il set di caratteri presente nella tastiera italiana dei computer. L'armonizzazione di queste diverse istanze non è semplice, di certo nella situazione in cui versa la lingua non può che prevalere la massima semplicità e comprensibilità.
La scelta di utilizzare il “fs” è stata fatta da un autore in parte per la sua origine martanese ma soprattutto per un razionale ben preciso e da lui spiegato nella nostra rubrica “pos enna gràtsome grika”: il tentativo di unificare nella grafia l’esito di Ψ e Ξ che nei diversi paesi si è diversificato in zeta aspra, fs/ss e sc. Si tratta di una soluzione che può ritenersi discutibile per varie ragioni, ma tuttavia va riconosciuto che ha una sua razionalità e che può essere criticata, ma con argomentazioni serie, non liquidata con una scrollata di spalle. Pefto può voler dire cado, ma anche invio (dal greco πέμπω), ed è un lemma attestato da diversi autori fra cui il Rohlfs a Calimera e Martano, evidentemente ancora presente dato il fatto che è stato usato sulla Spitta in una trascrizione di una intervista originale eseguita dall’autore. Certo, avremmo fatto meglio forse a precisare nel glossario il paradigma completo (petto, èpetza o “pefto, èpefsa”) per far capire che il riferimento non era al verbo “petto, èpesa”. Diverso può essere il caso di scelte lessicali fatte per arricchire il vocabolario con neologismi e prestiti, cosa che io cerco di limitare al minimo ma che non ritengo a priori un tabù perchè in letteratura è così che una lingua cresce e si evolve, non facciamo del Griko una mummia da esposizione!
Per quanto riguarda la soluzione che tu proponi per differenziare zeta dolce (dz) da zeta aspra (ts/tz) utilizzando z e zz, personalmente la trovo sensata, sebbene io ritenga che non sia scontato che il lettore riconosca immediatamente la zz come aspra, essendo usata nell’italiano con entrambe le pronunce. Inoltre, andrebbe o no portata fino in fondo, scrivendo quindi “senzza” e “speranzza”?
Sulla elisione della consonante finale anch'io sono abituato ad praticarla, anche se ho adottato una soluzione proposta sul giornale da Carmine Greco che lascia al lettore l'onere di pronunciare la seguente consonante assimilata doppia. Credo però che l'elisione in grafia della consonante finale crei facilmente nel lettore che conosce poco la lingua la falsa impressione che il Griko abbia perso le consonanti finali.
Sull’uso della C latina ed italiana al posto della K trovi d’accordo almeno un componente della redazione, io stesso pur abituato a scrivere in griko con la K ritengo l’ipotesi ragionevole. Tuttavia non trovo così scontata la tua affermazione secondo la quale la K avrebbe una collocazione “naturale” in griko nella sostituzione di chi/che italiani, essendo la ch utilizzata per esprimere l’aspirata. Io sono del parere che la K in griko o c’è, e allora usiamola senza creare ambiguità fonetiche, o non c’è, e allora si trovi un'altra soluzione per l'aspirata.
Insomma, la scelta del sistema di scrittura è un campo dove è facile avere opinioni diverse ed il rischio è di vedere la lingua perdersi completamente mentre noi restiamo a discutere se è meglio la K o la C. Per questo spero che la discussione che avevamo avviato nella redazione, grazie anche al contributo tuo e di altri lettori, ci porti a breve alla scelta di un sistema condiviso il più possibile semplice e rispettoso della lingua.
Francesco Penza

sabato 27 dicembre 2008

A chi dobbiamo scrivere?

Quando abbiamo dato vita a questo giornale, abbiamo voluto scrivere di ogni argomento e in lingua grika, mai italiana. Scriviamo di ogni argomento per mostrare che il griko può comunicare tutto ciò che si vuole e non solo canzoni e favole antiche. Per questo crediamo che questa lingua debba avere un domani. Scriviamo in griko e non in italiano per scuotere un po’ voi che leggete, per avvicinarvi a questa lingua, per farvi impegnare un po’ per capire queste parole senza passare da una traduzione che oggi si trova sempre nei libri che contengono qualche testo griko. Quando scriviamo in griko e manteniamo costantemente il testo italiano a fronte finiamo per tagliare le gambe alla lingua.: quanti perderebbero tempo a leggere il griko se ci fosse sempre accanto comodamente l’italiano che sentiamo in televisione? Noi vogliamo scrivere a coloro che amano il griko e chiunque ami la lingua può perdere un po’ di tempo per capire ciò che scriviamo, magari gli piace anche entrare in un luogo dove il griko non viene lasciato all’ombra di un’altra lingua.
Questo pensavamo allora e ancora ci crediamo. Però neanche vogliamo chiudere le porte a coloro che ci hanno chiesto di mettere una traduzione italiana, che sono molti. Abbiamo capito che c’è qualcuno che ama la lingua ma non la conosce abbastanza bene da leggere senza traduzioni. Abbiamo capito che la Spitta poteva diventare un giornale per élite se non avessimo dato un aiuto a coloro che vogliono imparare la lingua. Inoltre dobbiamo dire che certe volte il griko scritto può restare difficile anche a coloro che già parlano bene griko perché la lingua non viene scritta regolarmente e non c’è un alfabeto condiviso. Per questo abbiamo discusso molto e ci siamo accordati per inserire qualche traduzione in un inserto insieme alla Spitta e tutte le traduzioni sul blog ispitta.blogspot.com. Ma la Spitta resta sempre un giornale griko, che vuole parlare a coloro che sanno il griko o vogliono impararlo.

Francesco Penza

Quanto sei brutta, morte

Non ci piaci per nulla!
Tu anima non hai e né cervello.
Sei stupida, e cieca a me pari e non vuoi bene a nessun uomo.
Grazie non hai e non ti importa che tu uccida il bimbo mentre ride!
Gli stringi il cuore e poi te ne vai!
Li uccidi così’ poveri passerotti!!
Tu ci togli i padri ed anche i figli
Non hai orecchie e senti pianger la madre!
Che piangan le fanciulle nulla t’importa:
la moglie uccidi e rubi il giovanotto.
E porti via chiunque tu incontri.
Tu sei senza testa e senza grazia.
“ Ma cosa tu mi dici, che non amo?
Che non bado alle gioie della terra?
Non son sposata, e son senza figli,
mi crearon così, senza il cuore.
Faccio quel che faccio senza vedere.
Devo lavorare senza ascoltare!
Perché io sia così, mi chiedi tu:
non chiederlo tu a me: chiedi a Gesù

Paolo Dimitri

Le spine della rosa.

Una rosa vidi dietro un muro tanti
boccioli aveva ma già seccati.

Perché- le dissi -mi mostri solo spine:
tante che toccarti io non posso!
Il tuo profumo mostra, apri il bocciolo!”.

“ Giovanotto,cosa vuoi da me,
il buon profumo che un tempo avevo?

L’hanno sentito in tanti , ma poi sen iron lesti;
Mi amaron per un solo giorno solo:
quante parole per rubarmi il miele!

Spariron tutti e mi lasciaron l’ardore!
Ora tra il ghiaccio, o sotto l’arsura
Io faccio spine, solamente.
Fai la tua strada :ascolta che ho da dirti
non mi toccare se non vuoi ferirti!”.

Paolo Dimitri

E non si mosse niente…

Per molti anni a nessuno è importato niente del grico e di coloro che lo parlavano. Non ci fu sindaco o presidente che muovesse dito per questo. Poi all’improvviso sembro cambiare vento, si generò un nuovo amore, un grande amore per il grico. Così sembrava. Dappertutto, qui nei nostri paesi si udivano parole quali “Grecìa Salentina”, Area Ellenofona”, Lingua Minoritaria”. Il grico divenne “Lingua Ufficiale”, misero gli interpreti e ad ogni anno nelle scuole si tengono lezione di grico.
Se fossi una persona che vive lontano, all’estero, conoscendo queste cose avrei soltanto da gioire e ringraziare coloro che hanno lavorato e lavorano perché queste cose possano realizzarsi.
Vivendo qui però capisci che è tutto fumo, tanto fumo negli occhi.
Grecìa Salentina”: “Calòs Irtate (forse ìrtato, la voce ìrtate non esiste nel grico) Stin Grécia salentina” (ben venuti nella Grecia Salentina), così saluta il cartellone gli stranieri che entrano nei nostri paesi, e quel “benvenuti “ è scritto così grande, tanto da far sembrare che stai entrando in una “ area ellonofona” e ti occorra veramente l’interprete per poterti capire con la gente.
Gli Interpreti: dobbiamo ridere o dobbiamo piangere! “Lingua Minoritaria”: con questa parola abbiamo colto nel segno, ogni giorno che passa la lingua diventa sempre più “minoritaria”.
Scusatemi se mi esprimo in questo modo, ma è l’amaro che si prova quando si pensa al grico, alla sorte che gli è capitata e a tutto ciò che si fa per poterlo fare rialzare un po’. Lo so non è facile, e una cosa discola, molto difficile. Non è una piccola pietra dissepolta, un frammento di coccio, un osso che ritrovato che lo chiudi in una vetrina o lo porti in un museo e da lì dentro ti guarda senza chiedere nient’altro; se fosse così, lo so, la teca gliela avrebbero fatta d’oro e non è neanche un giro di pizzica, che se così fosse gli avrebbero costruito il migliore e più bel palcoscenico. Ma non è così, il grico possiede un’anima il grico è vita e non lo puoi chiudere da nessuna parte, non lo puoi chiudere in una teca, in un museo, non lo puoi chiudere in un libro e tanto meno in un disco: sono tutte cose che possono parlare di grico, ma non sono il grico.
La lingua greca affinché viva deve essere parlata. Per cui ciò che possiamo fare è parlare grico. Ma neanche questo è molto facile, ma è l’unica cosa.
Due anni fa è nata l’associazione “Grika Milume” ed è nata proprio con questo scopo: raccogliere gente che tiene per il grico, lo vuole parlare, ascoltarlo, apprenderlo. L’associazione è aperta a tutti, non importa se appartieni alla Grecìa oppure no, è sufficiente nel cuore interesse e amore per le tradizioni e la lingua grica. L’associazione vorrebbe fare tutto ciò che può servire a risvegliare l’interesse per la lingua e quante più strade possono servire a far rialzare il grico vorrebbe percorrerle.
Fino adesso la cosa più visibile che sta facendo è questo giornale. “I Spitta” è il primo giornale che per la prima volta non parla soltanto di grico, ma parla grico e fotografa il grico, adesso, negli anni 2000. Lo distribuiamo in tutti i comuni della Grecìa e arriva in diversi altri luoghi qui in Italia, in Europa e qualcuno anche in America. “I Spitta” si trova nelle bibliotche e nei centri di cultura.
Adesso non è che ci aspettavamo niente, ma una parola, una critica da coloro che sono i rappresentanti istituzionali della Grecìa sarebbero potute arrivare. Di tanti sindaci, qui a Martano sono passati due, Conte e Micaglio e con questi due assessori alla cultura, nessuno ha avuto una goccia di tempo da dedicarci? E la Grecìa Salentina con il suo presidente Sergio… non si è mosso niente e non si muove foglia.
Lo sappiamo, tante altre cose più importanti hanno da fare, ma ciò che è certo le ragioni del grico e tutta la cultura ad esso legata che poi sono le nostre radici, non passano da lì.
Adesso, stando in mezzo a queste cose lo sappiamo, c’è tanta gente che lavora per il grico e con il grico, ma molte volte lo fa in solitudine, ma lavorare da soli non porta molto lontano. Dobbiamo unirci insieme e unire i nostri sforzi: così facendo possiamo continuare la speranza di dare nuova vita al grico.
Si può fare.

Giuseppe De Pascalis

La festa del 14 agosto a Calimera.

Come facemmo lo scorso anno e come, se Dio vorrà, faremo l’anno che venturo,anche quest’anno l’associazione “GRIKA MILUME” insieme alla”Casa Museo della lingua grica e delle tradizioni popolati” ed il gruppo canoro “Malalingua” abbiamo creato una festa per parlare grico, così coloro che sono intervenuti hanno potuto ascoltare canti e poesie in griko e le parole degli antichi.

La sera del 14 di agosto, la luna dondolava in un “biun-mbò” appesa ad una stella che la corteggiava.
Il giorno c’è stato tanto caldo che tutti ci siamo arrostiti. E la luna nel fresco biancore dall’alto ci osservava sorridendoci.
Sul largo “Immacolata”, vicino alla cappella, s’era raccolta un poco di gente,ma la cappelletta non era aperta.
Lì’di fronte, un’antica lapide racconta che in quel posto una volta sorgeva una cappelletta bizantina,dove celebravano la messa in lingua grica. Nessuno mai dei calimeresi si avvicina per leggere.
Cosa è accaduto quella sera quando tanta gente s’era riunita dove la cappella bizantina non c’è più?

Kostas degli Encardia ha intonato un canto bizantino. Cantava da solo e nessuno comprendeva le sue parole.
Conversava con i padri e per gli antichi,forse, lui cantava. O forse,che cantando pregava la Madonna di “finibus terrae” che la nostra gente ha voluto dimenticare!
Un elleno pregava in greco una Madonna grika? Da dietro quella lapide la Madre ascoltò,dopo più di settant’anni, un suo figlio che pregava.
“Nilin” recitava il componimento di
Non v’era altra illuminazione che qualche cero che aveva messo a terra qualche organizzatore, ma poi,v’era la luce della luna che splendeva sui tetti e negli occhi delle giovanette.

Pippi Lefons, tanti anni addietro!

“Ndilin, ndilì, ndilì, ho gridato io sul sagrato della cappella dell’Immacolata,di fronte al palazzo che fu du don Pippi Cappa. Gridai un poco più forte, … ed ho atteso. Ho teso l’orecchio per sentire se
don Pippi stesse continuando a recitare insieme a me la sua poesia.
“Ndilìn, ndilìn, ndilìn!” A dire il vero a me sembrò che anche lui, con la sua sottile voce, dicesse con me:”Ndilin!”.
Ah! La sua poesia!
“Ndilìn , ndilìn” suonava la campanella dell’asilo infantile per chiamare a sé i bimbi di un tempo, alle otto di ogni mattino.
E Pippi desiderava tornar piccolino e, come allora, andare all’asilo. Ma don Pippi Cappa sapeva che non era più quella la campana che lo avrebbe chiamato a sé!
Don Pippi è parecchio che è morto,ma a me è sembrato che ci abbia visti, vicino alla sua casa ad ascoltare quel suo “ndilìn, ndilìn”.
Lo ha sentito anche suo figlio, il dottor Bruno ed anche suo nipote Carmelo.
Io ho sentito che don Pippi è uscito da casa e come tutti noi, ha camminato un po’, fino alla casa di
Giannino Aprile, dove Giovanni Fazzi ha recitato un canto scritto da quel compianto sindaco..
Ed i suoi figli, Paolo ed Andrea, insieme alla madre, la moglie di Giannino, riascoltarono uniti le parole del padre.


Silvano Palamà ha letto una lettera del 1956, dalla quale Giannino raccomandava ai “compagni”
Prodigarsi per il bene della gente di Calimera.
Ed a sua moglie si bagnarono gli occhi nel sentire quella lettera,dopo quarant’anni, quando il marito all’improvviso, morì…

Così, don Pippi e Giannino (che era suo cugino) hanno fatto festa con noi ed hanno riso e scherzato con la gente di oggi.


Nel 1975, qui a Calimera, venne a trovarci Pier Paolo Pasolini, per ascoltare le nostre poesie: amava i componimenti poetici popolari dell’Italia intera; ha scritto anche un libro che li contiene.
Morì solo dopo due mesi e Francesca Licci ,la sera del 14 agosto 2008, ha cantato per lui una poesia dello stesso Pasolini, sotto il palazzo Murrone, dove lui era venuto ad ascoltarci.

Lui, così grande poeta, è venuto a sentirci parlare una lingua della quale noi, tante volte, non valutiamo il suo valore.
Così erano tre, quella sera a Calimera: don Pippi, Giannino e Pasolini.
Gli altri che vennero a trovarci non li abbiamo riconosciuti dalla statura o dal loro volto, ma Salvatore Tommasi ci ha detto una poesia di Vito Domenico Palumbo, morto 90 anni fa.
Ci ha raccontato del caldo che , tante volte questa scorsa estate ci ha fatto tanto sudare tanto da non potersi dire.
Credo che don Vito Muntagna ( il Palumbo) si sia molto rallegrato nel constatare che ancora oggi noi sappiamo parlare il grico, dopo tanti anni. La lingua dei padri è dura a morire!

E il Palumbo cosa ha fatto tra l’altro? Ha scritto in grico un po’ del poema di Dante Alighieri.
Ha scritto dell’amore di Paolo e Francesca.
E Maria Renna insieme al marito che traduceva, ce lo ha recitato, in un cortile antichissimo, dietro la chiesa madre.
Dopo, presso il sagrato della chiesa Renato ha recitato la preghiera del “Pater noster” ,sempre del Palumbo.
Abbiamo poi cambiato strada ed anche canzoni.

In via Costantini intonò il suo canto, Luigi Garrisi e la sua ragazza.
Anche il gruppo degli Encardìa suonarono con le loro chitarre, violini e fisarmonica!

Anche i trapassati di quella via si svegliarono a cantare con noi! E in mezzo alla festa Francesca intonò delle antiche ninne nanne ed io in italiano ho letto la poesia di Palumbo che ricorda sua madre, quando andava a raccogliere i fiori di gelsomino che componeva in corona vicino alla statuetta della Madonna, prima di pregare per suoi figlio lontano.

Alla fine abbiamo cenato tutti insieme: io, Silvano,Francesca, Giovanni , Dina , Colaci… e tutta la gente che aveva seguito il nostro itinerario per sentirci recitare.


A proposito: Ci rivedremo fra un anno in via Costantini.
Cominceremo a suonare da vicino alla sartoria di Colaci.
Luigi, accendi l’insegna!

Paolo DI MITRI (23 novembre 2008)

sabato 6 settembre 2008

UN TESORO IN UNA CRIPTA BIZANTINA DEL SALENTO

Certe cose sono delle meraviglie, dei capolavori stupendi, e splendono agli occhi di tutti. I tesori sono cose nascoste, si devono cercare e, quando vengono scoperti, la loro bellezza si rivela forse più dolce e il loro ricordo più durevole.

La cripta delle SS. Marina e Cristina a Carpignano è già stata presentata ai lettori della Spitta. Questa chiesa sotterranea risale a più di mille anni, ed alcuni segni di rimaneggiamento evidenziano il passaggio nel XVIII sec. dal rito greco a quello latino. Il complesso, con i belli affreschi dal IX al XV secolo, costituisce una testimonianza di altissimo valore dell’arte bizantina medievale nel Salento*.

Nella parte del naos chiamata vima e riservata ai soli sacerdoti troviamo quest’immagine dell’Annunciazione. Fra le centinaia di scene che rappresentano un Angelo inginocchiato nel salutare la futura Madre di Dio sorpresa (per forza, immaginatevi…) e raccolta nell’ascolto, quell' affrescho del anno 959 è una cosa rarissima nella storia dell’arte. Di solito l’Angelo si trova a sinistra, e la giovane Maria collocata a destra. La disposizione dei luoghi come verranno dipinti nei secoli ulteriori presenta abitualmente le due figure separate da un dettaglio dell’architettura finta : una colonna, la soglia di una casa o di una stanza, oppure l’Angelo che rimane fuori in un giardinetto mentre la Vergine sta in una camera spesso riccamente arredata. Qua l’artista ha combinato le cose come glielo suggerivano non i luoghi dell’immaginazione ma le pareti che gli si trovavano davanti : una porzione di muro esigua a sinistra, un’altra più larga a destra, che vengono articolate in un modo tanto semplice quanto evidente.

Sistemare in un’area recinta la Madonna con un fuso in mano permetteva a Teofilatto (il cui nome appare sulla scritta) di dispiegare comodamente, con tanto di fruscio e di solennità, il Messaggero divino e le sue splendide ali : che Arcangelo sarebbe Gabriele con delle ali striminzite ? Così c’è anche spazio per rendere percepibile il movimento di chi sta per inginocchiarsi, ma non è oggi il caso di presentarsi con riservatezza (« Scusi signorina… se non disturbo… »). Lui sa già di cosa si tratta, e la linea che disegna la mano destra – con le dita unite per significare la preghiera - rende imperiale il gesto del braccio che porta lo sguardo verso il Pantocrator sul trono di maestà, in un altro spazio, quello dell’abside al centro, al cuore dell’intera scena.

Claire Bodson

* L'Ιstituto di Tecnologia dell'Informazione del CNRC (Conseil National de Recherches du Canada) ha sviluppato nel 2003 in collaborazione con l'Università di Lecce, un progetto che permette la rappresentazione virtuale tridimensionale della cripta.

La serenata

Quando un giovanotto ed una signorina si piacevano, l’uomo portava alla donna la serenata.
Trovava qualcuno che suonasse la fisarmonica ed il tamburello, riuniva i suoi amici e tutti insieme andavano sotto la finestra dove dormiva l’amata ed iniziavano a suonare e cantare.
Una di questa canzoni faceva:

Tua madre per te ha fatto voto.
Ha fatto voto a santa Maddalena,
Ché ti faccia mangiare miele e manna,
Così che restino gli occhi e le guance rosse;
gli occhi che non perdano lo splendore,
Migliore della luna nelle notti
in cui brilla maggiormente.

Successivamente c’erano i complimenti per la madre che l’ha generata così bella e pina di grazie.
Poi veniva messo avanti il padre che tutta la settimana andava a lavorare nel suo campo e anche nei campi d’altri proprietari, per portare a casa pane, olio e soldi per dare la dote alla bella figliola prima di sposarsi.
Tutto ciò avveniva in un situazione festoso e con grande gioia di tutto il vicinato, che era a dormire e allorché sentiva la serenata si svegliava dal sonno ed usciva in mezzo alla strada per ascoltare quelle belle canzoni. I più vecchi si sedevano sul limitare di casa, le donne per ascoltare, correvano con i figli più piccoli in strada.
Quando finivano di cantare, il padre della giovane usciva per strada con un boccale di vino, qualche dolcetto e qualche altra cosuccia; bevevano il vino, mangiavano le altre cose e dopo ciascuno ritornava alla propria casa a dormire.

Leonardo Antonio Giannuzzi

VITA NUOVA (2) IL LINGUAGGIO DELLE PIETRE

Giuseppe Castellano è conosciuto da tutti a Zollino, è un artista che sa manipolare la pietra, il ferro, il legno e tutti i materiali che capitano tra le sue mani. E' un autodidatta che riesce a realizzare opere che stupiscono per la loro originalità e bellezza.
Presso il Centro Polivalente per gli Anziani di Zollino, ha coinvolto due giovani maestri :Andrea
Aprile diplomato presso l'Accademia delle Belle Arti di Torino e Antonio Gemma diplomato presso l'Accademia delle Belle Arti di Lecce, ed ha iniziato a scolpire un enorme masso di “pietra leccese”, che si era fatto trasportare da una cava.
Ha invitato i frequentatori del centro per illustrare il suo progetto, invitandoli ad assistere al lavoro per cercare di apprendere.
Alterna il lavoro alle spiegazioni sull'uso degli strumenti di lavoro e su come incidere la materia.
E' felice Giuseppe quando le persone ascoltano con attenzione e interagiscono, manifestando interesse a capire ed apprendere.
Le persone vanno a curiosare e avrebbero voglia di scolpire, Giuseppe intuisce e le incoraggia a provare. Molti possono dire di aver contribuito a realizzare l'opera sia pure con un sol colpo di scalpello.
Tutti coloro che passano osservano, esprimono la loro opinione ed alcuni apprezzano e ringraziano per la partecipazione all'esperienza.
Il masso, piano piano, viene scolpito e comincia a manifestare una sagoma; si intravedono inizialmente la testa e il corpo: “comincia a parlare”, dicono le persone.
Scolpendo e scolpendo viene fuori l'anima della pietra e tutti possono vedere con i loro occhi, toccare, e ..................!
L'esperienza è iniziata nel mese di Aprile, siamo in Agosto e i maestri continuano freneticamente a lavorare tantissimo per portare a termine l'opera.
Allorquando il “Comitato degli iscritti” al Centro Polivalente per Anziani di Zollino ha chiesto a Giuseppe di realizzare un'esperienza di laboratorio con uomini e donne, lui ha risposto subito di sì.
Ha fatto trasportare un enorme parallelepipedo di pietra, alto circa due metri, lungo un metro e mezzo, e largo circa un metro, molto pesante.
Le persone osservavano incredule che potesse venir fuori da quel masso qualcosa di interessante, fino a quando non hanno visto fuoriuscire due corpi: una donna e un uomo, anziani, teneramente abbracciati.
Giuseppe, Andrea e Antonio hanno lavorato in perfetta sintonia, nonostante fosse la loro prima esperienza collettiva. Durante il lavoro di sgrossatura del masso e nelle fasi successive hanno prodotto una gran quantità di scarti, assemblando vari cumuli di residui. Una sola volta hanno fatto portar via ben quindici cariole di scarti. Anche sotto il sole cocente scrostavano la pietra fino a quando non ha finalmente rivelato l'anima, che loro avevano già intravisto: un uomo e una donna, anziani, abbracciati, con lo sguardo rivolto al futuro!
Francesco Chiga

Che non si rompa la macchina!

Oggi tutti andiamo a scuola e possiamo apprendere di tutto. Possiamo comprare libri quanti ne vogliamo e con pochi euro possiamo avere un’enciclopedia su DVD. E cosa dobbiamo dire poi della televisione: è sufficiente accendere per apprendere ciò che vuoi ed esche ciò che non ti interessa ed apprendere le novità là per là. Per non parlare poi di internet, pozzo smisurato: non c’è cosa, non esiste notizia che non si possa trovare; basta un niente per apprendere come fare. Mia moglie, che non conosce niente di computer ha appreso prestissimo, e devi vedere come si tiene grande con le sue amiche. Le dice: vai su “gogòl” immetti la parola che ti occorre e trovi ciò che vuoi. E veramente fa così quando le occorre qualcosa per il lavoro o cerca qualcosa di nuovo da cucinare.
Una volta non c’era niente di tutto ciò e a scuola erano pochi coloro che potevano andarci.
Questo mi diceva mio zio parlando di scuola:
Mio fratello maggiore non sapeva fare niente, a malapena negli ultimi tempi riusciva a mettere la firma.
Il medio fece la terza e non è cosa da niente, è, se non proprio come l’università di adesso, quasi.
Io non sono andato mai un giorno a scuola; non è che io sappia niente, però una cosa, anche se non la capisco molto, la leggo; non so scrivere bene, però scrivo. Che poi su le pale dovevi scrivere, sulle pale di ficodindia, la pala faceva da quaderno. Ricordo che la moltiplicazione non mi usciva mai, perché invece di iniziare da dietro, iniziavo davanti; una volta iniziai da qui, da dietro ed uscì, così imparai a fare le moltiplicazioni da solo.
Tutte le conoscenze ti venivano da ciò che ti raccontavano i più grandi e da quello che sapevi vedere quando osservavi ciò che il mondo mostra.
E sempre parlando con mio zio questo mi raccontava parlando di api. Ascoltatelo.

Zi: noi le avevamo le api, le avevamo qui sopra, sopra il terrazzo, che poi gli facevano tutte le lenzuola gialle.
Gi: perché?
Zi: quelli non raccolgono quella polvere che c’è dentro i fiori, il polline, come si chiama diversamente? Quelli la raccolgono, tu sai che la raccolgono, vero?
Gi: per mangiare, no!
ZI: no, là non mangiano i grandi, essi mangiano miele, non mangiano fiori. Quello non è per far mangiare le mamme, i grandi, le api; quello lo mettono dentro che ci sono i piccolini, affinché si nutrano.
Quindi lo raccolgono tra le zampette, facendo delle pallottoline, poi quando ritornano lì (all’alveare) lo devono nuovamente tirare piano piano e lo devono mettere lì dentro, che lì dentro ci sono le larvette. Le hai viste?
Gi: no.
Zi: no! Lì dentro ci sono le uova che fa la mamma, da lì dentro escono le larvette, che piano piano diventano grandi, e mangiano quella polvere che mettono le api. Lì non è la madre che comanda, comanda la famiglia. Non è la madre che fa quelle diverse (tante) cose, che lì si devono fare tante cose.
Quando devono fare (predisporre per) la mamma devono fare già il buco diverso, la cella. Devono fare una cosa, uno spuntone così lungo, che sta da parte, in una estremità, oppure alcune volte lo fanno nel mezzo, nel pettine. La fanno però sempre più grande, perché là la madre è sempre più grande, è più lunga. E lì dentro non mettono polvere. Non è che la mamma nasce mamma perché ha fatto l’uovo di mamma, nasce mamma con ciò che mettono i figli, quelle, operaie si chiamano, ma figlie di quella sono. Lì dentro non mettono polvere, mettono ciò che si chiama pappa reale.
Quella non è che c’è dappertutto lì dentro, la mettono soltanto dentro quei buchi grandi dove devono nascere le regine.
Quella soltanto è pappa reale, la dove nascono quelli che devono lavorare mettono quella polvere che si trova nei fiori.
Qualche volta nascono tutti maschi, che non sono i fuchi. Allora lì la famiglia viene (va) in fallimento. Quelli o si ammazzano o muoiono lentamente, perché non c’è nessuno che lavori. Quelli non lavorano, non vanno a trovare da mangiare, a fare provviste, stanno sempre a darsi botte, per ammazzarsi. Ma sono poche le volte che succede questa cosa. Gli altri invece escono dagli alveari, fanno il miele, fanno la cera, fanno tutte le cose che occorrono. Raccolgono quel succo di fiore che poi diventa miele. Non è che lo cagano dal sedere, lo rigurgitano nuovamente dalla bocca. Hanno una cosa qui sotto e la riempiono di quel liquido che poi dopo giorni matura e diventa miele. Quello tu non lo vedi quando lo trasportano, perché lo tengono nell’interno, come i piccioni, come gli uccelli che lo tengono qui vicino, poi lo rigurgitano di nuovo e lo mettono dentro i buchi.
Gi: allora abbiamo..
Zi: quello dei piedi è quello che mettono da mangiare a quei vermicelli che poi diventeranno api, il succo di fiori che poi diventa miele e la pappa reale che io adesso non so da dove lo raccolgano, come fanno a trovarlo, vedi che è una cosa come latte che mettono nella cella, lì dove deve nascere la regina.
Gi: e le lenzuola?
Zi: le robe poi dovevamo toglierle, perché quando faceva vento venivano stanchi, specialmente che stavano sopra, si appoggiavano lì e facevano tutta la biancheria gialla, perché avevano quei piedi pieni di fiori (polline) e la sporcavano no!
Gi: come fai a sapere queste cose?
Zi: io non è che ho appreso queste cose perché me le abbiano dette, ma come ho appreso tante cose da solo, ho imparato anche ciò che fanno le api.
Una volta che non esisteva niente, né giornali, né televisione, né libri, né internet, quanto valeva il sapere della persone anziane, quanto era bello e dolce il racconto del nonno. Adesso tutto questo non serve più a niente. L’intelligenza, i saperi delle persone di fronte ad internet, di fronte alla televisione si perdono, non servono. Dietro non si può tornare, è da stupido pensare questo, ma dimenticare che sei, da dove vieni, chiudere col passato, recidere le radici, vendere l’identità al dio della modernità neanche è cosa buona.
Che non si rompa mai la macchina!

Giuseppe De Pascalis

Il malocchio

Cos’è il malocchio?
Il malocchio, dicono, viene con uno sguardo insieme ad un pensiero che ti mandano le donne che hanno la potenza di fare male alle persone, agli animali e agli alberi, tuttavia coloro che fanno il malocchio non sanno che possono far del male. E’ sufficiente che ammirino qualcosa o qualche bambino che sia bello e grassottello o che invidino qualche persona perché gli mandino il malocchio.
È una delle più antiche superstizioni del mondo a cui la gente crede da migliaia di anni. Coloro che credono appendo davanti alla porta di casa una staffa di cavallo insieme ad un aglio per potersi proteggere dal malocchio. Dicono che sono poche le persone nate con la potenza di gettare il malocchio. Così scrisse Plutarco (46-120 dc) nel suo libro Perì katà ton vaskènin legòmenon ce vàskanon èchi ofthalmòn” e Virgilio (70 –19 ac) disse: :”nescio quis teneros oculos mihi fascinat agnum“.
Alcuni anni addietro si credeva che il malocchio lo possedessero le donne anziane con gli occhi verdi o azzurri. Nei piccoli villaggi, in Grecia, quando riconoscono una donna che è una iettatrice fuggono lontano da lei senza guardarla negli occhi. Col malocchio la persona si ammala, fa sbadigli, può avere vomiti, diarrea e gli viene il mal di testa; il bambino piccolo piange ed ha caldo; gli alberi si spogliano dalle foglie e gli cadano i frutti. Nel Salento ed in altri luoghi d’Italia la gente, che ancora oggi ci crede, porta con se amuleti come cornetti fatti di argento o di oro oppure cornetti di corallo. Uomini e donne gli appendono al petto per tenere lontano il malocchio.
“Vàscamma” è una parola vecchia greca ed in latino e detto “Fascinum”, ed in italiano vuol dire “affascinare” ed anche malocchio. Nell'isola di Rodi ed in tutta la Grecia dove il “Vàscama “è detto anche “Ammàtiasma” hanno, come in medio oriente, tutto di colore azzurro: la pietra dell’anello, la perla della catenina e ciò che richiama il segno dell’occhio e che oggi vendono in tutti i negozi turistici. Coloro che hanno addosso il colore azzurro sono aiutati a non prendere il malocchio.
Hanno pure il “filahtò*”: un piccolo guanciale pieno con cose contro il malocchio. Le persone mettono dentro preghiere e una croce, i musulmani e gli ebrei che credono pure al malocchio, mettono le loro cose. Questo guancialetto viene appeso ai vecchi e ai bambini piccoli che il malocchio li prende più di frequente. Per questo in Grecia ed in medio oriente quando nasceva il bambino doveva stare quaranta giorni chiuso in casa prima di poter essere veduto dalla gente, perché la mamma aveva paura che lo ammaliassero. Dopo i quaranta giorni portava il bambino alla chiesa perché il prete lo benedisse e dopo lo poteva guardare la gente. Ogni qualvolta che le persone guardavano il bambino dovevano fare finta di sputare e dire “ftu, ftu, ftu, che non venga ammaliato”, che è il “filàfsi” (benedica). Ci sono ancora donne che conoscono le parole e sanno togliere il malocchio. Questo fanno ancora in Grecia ed in alcuni luoghi del Salento. Prima si accertano che sia veramente malocchio: riempiono una bacinella d’acqua, ungono il ditino di olio e ci fanno cadere dentro tre gocce per due volte, se le gocce spariscono non c’è fattura, se le gocce restano e diventano come occhi, la fattura c’è. Alcuni anni addietro era necessario chiamare l’ultima donna che aveva visto l’ammaliato, le davano un rametto d’olivo benedetto il giorno delle Palme e doveva dire: io ti ho ammaliato ed io ti tolgo il malocchio, quello che ho detto che non sia ben detto”. La mia amica di Calimera mi ha riferito che in Salento per togliere il malocchio riempiono una bacinella con dell’acqua, prendono nove chicchi di grano e ogni volta che vi gettavano dentro il chicco facevano il segno della croce e dicevano: ”doi occhi te ndocchiara, doi santi t’annu iutare”. Se molti chicchi restavano dritti sopra l’acqua, volava dire che il malocchio c’era ancora. Se tutti i chicchi scendevano giù nella bacinella non c’era malocchio. In Grecia per togliere il malocchio facevano così: su di una tegola accendevano dei carboni, mettevano sette foglie d’ulivo che erano state benedette dal prete il giorno delle palme e facevano investire dal fumo l’ammaliato pregando Dio così:
“Quanti occhi ti guardano, tanti santi ti aiutano..
Cristo vince e i mali disperde e tutto aiuta.
Ogni cattivo pensiero, e occhio, tolga da dosso a te…
E con tutto ciò si toglie il malocchio…

Theonia Diakidis

venerdì 25 luglio 2008

L'ulivo con i rami rotti

L'ulivo con i rami rotti
In un campo incolto un grande ulivo piangeva di nascosto. Da una siepe lo udì un piccolo ulivo selvatico e gli chiese:
-fratello cosa hai che piangi?
- Cosa ho, non si vede che ho tutti i rami rotti?
- Ma cosa ho fatto agli uomini che ogni anno vengono e mi bastonano? Che cosa ho fatto loro perché mi facciano tanti torti?
- Stupido, chiedi cosa gli abbia fatto? gli hai fatto avere troppe ulive.

Giuseppe De Pascalis

mercoledì 23 luglio 2008

ZOLLINO:Vita Nuova al Centro Polivalente per Anziani

Da molti mesi nel Centro Anziani di Zollino è iniziata una nuova vita. Il sindaco e la sua giunta hanno sollecitato i cittadini ad organizzarsi per usare il centro come momento di aggregazione.
Si è giunti alla formazione di un “Comitato degli Iscritti”, che si incarica di proporre le attività.
Si registra una gran frenesia che si esplica nel lavoro, nel canto e nel gioco.
Ogni giovedì, alle diciannove e trenta, uomini e donne si incontrano per cantare canzoni appartenenti alla tradizione popolare dei loro avi. “Ci definiamo Antichi Canterini, e il nostro emblema è rappresentato dalla canzone Tanto pè cantà: una canzone allegra e spensierata, così come aspiriamo ad essere anche noi! Accompagniamo le cantate con qualche boccone e con qualche bicchiere di vino, e poi......una, due, tre ed anche quattro voci riusciamo ad esprimere: non potete comprendere senza ascoltarci”.
E' stata organizzata la prima Serata Spensierata, e sono stati invitati tutti i cittadini zollinesi, che hanno potuto ammirare il nostro modo di cantare.
Abbiamo ripristinato i campi di bocce, ed ora chiunque lo voglia, può praticare il gioco liberamente con i suoi amici e/o amiche.
Abbiamo intrapreso il laboratorio di scultura. Due maestri, Giuseppe e Benito, ci guidano nell'apprendimento e in questo modo impieghiamo il nostro tempo libero. Benito, con l'aiuto di molti frequentatori del Centro, sta costruendo un forno in pietra leccese. Ogni volta che ci ritroviamo a lavorare ci fornisce le indicazioni operative. “Il forno si realizza con blocchi di pietra leccese refrattaria, che è reperibile solo nelle nostre cave. Il pane cuoce in circa un'ora”. Ecco le modalità e le fasi di realizzazione di un forno:
Con un filo di ferro, fissato al terreno da un lato, si traccia una circonferenza. Si chiude la circonferenza con i blocchi di pietra refrattaria, con l'accortezza di iniziare dalla bocca del forno. Precedentemente si avrà cura di predisporre un modello di cartone utilizzato per preparare i blocchetti di pietra. Su questa prima circonferenza si realizzerà la seconda con i cosiddetti “somarelli”, si chiuderà la volta con gli archetti. Una volta realizzato il modello, si riprendono in ordine tutti i blocchetti e si posizionano nella sede definitiva e si cementano.
A questo punto nel forno possiamo cuocere pane, carne, agnello, maiale, legumi, ........... Nel forno cuociono meglio gli alimenti.
Dalle attività descritte in precedenza si intuisce il tipo di vita nuova che caratterizza attualmente il Centro Anziani. Uomini e donne, piano piano si avvicinano a noi, in quanto desiderano stare in compagnia, per fare nuove amicizie e per continuare ad apprendere, per continuare ad essere dinamici, allegri e spensierati.

Francesco Chiga

lunedì 14 luglio 2008

Qualche volta il grico paga

La storia che vi racconto questa volta è quella capitata a Biagio Chiriatti, meglio conosciuto come Biagio “Maseddha” e che mi raccontava l’altro giorno. Ascoltatela.

Alcuni anni fa, quando ero giovanotto stavo facendo il soldato dalle parti di Roma. Un giorno non mi sentii molto bene e mi portarono all’ospedale del “Celio” a Roma. Mi fecero la visita e tutte le analisi e non uscì niente. Quando il colonnello medico passò tra i letti per visitare i malati e giunse vicino a me e guardò le carte, vedendo che non avevo niente mi disse:
- Tu sei sano, non hai niente, sei venuto qua per vedere se di danno un po’ di convalescenza?
- No, risposi io, mi hanno portato qua perché mi sono sentito male. Non mi sono fatto portare qua perché mi diate della convalescenza.
Il dottore continuò a leggere le carte e vide che venivo da Martano. Non appena si accorse di questo subito chiese nuovamente:
- Allora tu sei di Martano?
- Si, dissi io, sono di Martano.
- Ed il grico lo capisci, lo capisci il grico? Lo sai parlare?
- Lo capisco bene, dissi, ma a parlarlo non lo so molto.
- E dimmi come si chiama il cuore?
- “Cardìa”, risposi presto.
- E testa?
- “Ciofali” risposi nuovamente io.
Insomma, per farla breve, mi chiese per diverse volte (la traduzione di altre parole) poi mi salutò e continuò a visitare i malati.

Adesso dobbiamo sapere che il colonnello non era dalla Grecìa Salentina, ma proveniva da un paese del “Capo di Leuca” ed era uno di quelli, come tanti che, una volta incontrato il grico, ne rimangono ammaliati e chi sa cosa farebbero per questa lingua. Ed è una fascinazione che non gliela togli da dosso per tutta la vita. Per cui farebbero di tutto per apprendere la lingua e la storia ad essa legata e magari qualsiasi cosa e qualsiasi persona che “sa” di grico gli sembra che cosa debba essere.

L’indomani (il medico) non passò, ma passo la monaca che lavorava nell’ospedale e mi disse:
- Alzati e vai a trovare il colonnello che ti sta spettando. E’ nel suo studio..
Mi alzai ed andai a trovare il colonnello. Quando entrai dentro, il colonnello mi disse:
- Stai tranquillo che non hai niente, ciò che ti è venuto era cosa leggera e adesso è tutto passato.
- Ma io voglio mandarti a casa in licenza perché sai il grico, pochi giorni, ma ti mando a Martano.
Così fece, mi diete venti giorni di convalescenza, ma prima di partire mi disse se potevo comprarli il libro del Rohlfs “Scavi linguistici…”. Partì ed arrivai a Martano. Era d’estate e subito presi a divertirmi con i miei amici, andando girando di qua e di là, andando al mare, insomma feci un po’ di bella vita. Ma avevo dimenticato di comprare il libro al colonnello. Mi venne in mente soltanto negli ultimi giorni e allora cominciai ad andar correndo per ogni dove, ma il libro non lo trovavo.
Mi suggerirono allora di chiedere al Professore Sicuro e così feci. Costui mi disse di chiedere alla libreia “Atena” di Galatina. Così feci, andai, chiesi, il titolare andò a cercare tra i libri e dopo un poco ritorno con il libro e mi disse: sei fortunato, questa è l’ultima copia.
La comprai ed il giorno successivo partii nuovamente per andare a Roma.
Andai a trovare nuovamente il colonnello e gli portai il libro. Questi quando lo vide si rallegro molto e mi disse: vedi, avete una lingua che non si trova da nessuna parte, c’è gente che (per quella), e mi mostrava il libro, passa la vita a studiarla, ogni parola di questa lingua vale oro, tenetela stretta, fate che non si perda.
Continuò a tessere ancora alcuni elogi verso grico e poi mi disse: tu mi sembri un bravo figliuolo, tanto mi viene di darti ancora qualche giorno. E così fece, mi diede ancora venti giorni di convalescenza. Lo ringraziai, lo salutai e andai via, ma quando ero ancora sulla porta mi disse: non dimenticare il grico. E non lo vidi più.

Alcune volte il grico paga, non diciamo più che il grico non serve. Quaranta giorni di convalescenza, tanto vale il nostro grico? Per noi, di qua della Grecìa, molte volte, molto di meno ancora.

Giuseppe De Pascalis

domenica 13 luglio 2008

GRIKO, SCUOLA ED AMORE

GRIKO, SCUOLA ED AMORE
Il 24 di Aprile si è tenuta a Martano la prima Assemblea dell’Associazione GRIKA MILUME.
Il Presidente e i Soci, anche venuti da lontano, per la prima volta si sono riuniti tutti insieme per discutere delle attività sinora svolte e di quelle ancora da svolgersi.
Tutti hanno espresso la loro opinione.
Abbiamo discusso della SPITTA: cosa scrivere, come scrivere, perché o per chi scrivere; a cosa serve oggi scrivere in grico.
Abbiamo discusso delle iniziative che l’Associazione Grika Milùme ha realizzato e delle altre che vorremmo realizzare, con l’aiuto di tutti, perché la lingua grika e le nostre radici non si perdano.
Abbiamo discusso di lingua Grika: chi ancora oggi la parla; cosa si può fare perché la lingua non si perda e per incentivare l’uso; se la Spitta è utile per salvaguardare la lingua.
Partecipavano persone esperte di griko che hanno esposto osservazioni che ci hanno fatto discutere.
Io prendo spunto da ciò che si è detto per scrivere ciò che penso sulla lingua e la scuola.
Dal 1999 c’è una legge sulle minoranze linguistiche. Questa legge, per la prima volta, disciplina le iniziative che sono consentite per salvaguardare le lingue.
Le scuole rivestono grande importanza, dalle Materne fino all’Università.
Nelle scuole è consentito l’uso del griko; nelle scuole si può insegnare il griko agli alunni nelle ore curriculari; per gli adulti (compresi i docenti di griko) si possono fare corsi pomeridiani; l’università può istituire una Laurea in Lingua e Cultura Grika.
Le scuole, avvalendosi dell’autonomia, possono istituire nuove materie, possono inserire progetti nel POF, cosicchè ogni scuola può scegliere nuove cose da insegnare agli alunni, che non si possono trattare nelle ore curriculari o che non si fa in tempo a trattare.
Invece l’Università di Lecce ha tolto il corso in Lingua Neogreca, istituita proprio per la presenza dell’area ellenofona, ed è dubbio ora se potrà essere ripristinata.
Per gli adulti le scuole non organizzano nulla; eppure molte persone vorrebbero imparare, o semplicemente parlare, il grico.
Agli alunni nelle suole si insegna il griko, ma è molto poco.
Fanno ogni anno un’ora alla settimana, per circa dieci, quindici, settimane.
Imparano vocaboli, nomi e numeri, qualche poesia e qualche canto.
Ma sul più bello, mentre stanno imparando qualcosa, il corso finisce e ciò che hanno imparato lo dimenticano.
Nelle scuole servono più ore di griko!
Ma non è solo questo.
Gli alunni a scuola devono ascoltare come si parla in griko, devono ascoltare gli adulti che parlano griko.
E chi sono oggi le persone che parlano griko?
Sono i nonni di quegli alunni che oggi frequentano la scuola.
I nonni che parlano il griko devono stare in classe con l’insegnante di griko e parlare in griko: così i bambini acquistano la consapevolezza che la lingua ancora vive, e vive proprio sulla bocca dei loro nonni, che loro ritrovano una volta tornati a casa.
I nonni devono insegnare ai loro nipoti il griko, a scuola con l’insegnante di griko, e a casa parlando con loro il griko come lo parlano quando stanno da soli marito e moglie.
Solo così forse nascerà nel cuore dei bambini l’amore per la lingua grika.
Ma non basta neppure questo.
Gli alunni devono imparare l’alfabeto greco.
Per ogni termine griko l’insegnante deve scrivere come si dice quella parola nel greco moderno e nel greco antico, scriverla con l’alfabeto greco ma leggerla secondo la fonetica del greco moderno.
Tutto ciò in ogni liceo classico si può fare, e bene.
Solo così ciascuno potrà rendersi conto che la lingua grika somiglia molto al greco oggi parlato in Grecia, ma che è molto più antica. Tanto antica che conserva parole che il greco moderno ha perduto (appìdi, pèrsiko, frèa, ampàri, ecc.) ma che si trovano nel greco antico. Come pure che ha la stessa sintassi e morfologia del greco antico.
Ma nel griko si trovano anche termini arcaici: solo nel griko diciamo umme e degghie;
nel greco moderno e nel greco antico per dire si dicono ναι;
per dire no dicono :όχι nel greco moderno; nel greco antico ου, ουχ, ουχί.
umme deriva da ουν μεν che significa: certamente;
degghie deriva da ουδέν γε che significa: per niente..
Un’ultima cosa.
Il dialetto italiano che parliamo noi nei nostri paesi e nel Salento è la traduzione dal griko.
voju cu mangiu = telo na fao
tocca cu vau = nghizi na pao
non pozzu venire = e' sozo erti
fallu cu venga = kàmeto n'arti
dilli cu non venga = pestu na min erti
ieri fici (makà aggiu fattu) quistu = ette' èkama tuo
quistu quai = tuonne'
Rohlfs ha trattato queste tematiche.

Io penso che nelle scuole agli alunni bisogna insegnare tutto ciò, ed altro.
Serve tempo, serve personale, servono finanziamenti.
Ma tutto si può trovare (anche i finanziamenti!) se vogliamo aiutare la nostra lingua a non scomparire.
Ma serve amore.
Il griko ha bisogno di amore.

GIOVANNI FAZZI

Si devono boicottare le olimpiadi di Pechino?

Si devono boicottare le olimpiadi di Pechino?

Le manifestazioni d'opposizione al regime cinese durante la cerimonia d'accensione della fiaccola olimpica a Olimpia avevano come scopo di rendere cosciente l'opinione pubblica al problema del Tibet e più generalmente al non rispetto dei diritti umani dalla Cina.
La polizia greca ha fermato parecchi attivisti tibetani e il governo ha condannato queste azioni che, come ha sostenuto, “non hanno nulla da vedere con lo spirito olimpico”.
Successivamente forte polemica ha attraversato i mezzi di comunicazione greci, perché la telecamera della televisione che trasmetteva in diretta la cerimonia ha cambiato, di colpo, senza ragione apparente, l'angolo di presa quando i giornalisti di “Reporters sans frontières” sono intervenuti spiegando una bandiera olimpica sulla quale gli anelli erano delle manette. Con questa azione, i “Reporters sans frontières”, hanno iniziato la serie di proteste che si sono susseguite lungo il percorso della fiaccola verso lo stadio Panatenaico e poi a Parigi, Londra, New Delhi, Bangkok ... fino a Pechino stesso.
Contemporaneamente si sono diffuse diverse idee che propongono, poiché la Cina non rispetta i diritti umani, il boicottaggio dei Giochi.
Gli atleti, che pensano solo a : “Ciascuno per sé e vinca il migliore”, sono opposti a queste idee.
I leader politici non sanno cosa fare, dicono che boicotteranno la cerimonia d'apertura dei Giochi, che interverranno, che consiglieranno alla Cina di diventare più democratica.
Non sarebbe meglio che incitassero gli atleti a manifestare, sul podio della premiazione, la loro opposizione e la loro protesta come avevano fatto nel 1968 a Città di Messico Tommie Smith e John Carlos alzando il braccio teso con la mano in un guanto nero mentre si suonava l'inno nazionale americano?
Non sarebbe meglio che andassero a Pechino per la cerimonia d'apertura dei Giochi per manifestare lì, durante la cerimonia, la loro protesta per il comportamento della Cina?
Non sarebbe meglio che invitassero, il Dalai Lama ad assistere con loro alla cerimonia inaugurale? Ve lo immaginate? Il Dalai Lama seduto tra Bush, Baroso, Hu Jintao e altri Sarkozy, Merkel, Zapatero, Brown, Putin ecc. salutando l'inizio dei Giochi di Pechino?
Certo che sarebbe meglio. Ma basta col sognare. Torniamo alla realtà.
L'autonomia del Tibet, i diritti umani, la democrazia non interessano né Bush né Hu Jintao né Putin né l'Europa.
Quello che gli interessa è prendere la loro parte della grande torta economica che rappresenta il miliardo e mezzo di consumatori cinesi. E la democrazia che gli vogliono presentare e offrire è la stessa della nostra : quella del diritto di consumare. Nient'altro.
Eccola la realtà: il potere cinese auspicava l'organizzazione dei Giochi per motivi e fini politici. Per la propaganda. Gli sponsor e il CIO gliel'hanno concessa per ragioni analoghe. Per il business.
Il Dalai Lama è in esilio in India.
Il potere cinese continua a imprigionare gli oppositori e a considerare il Dalai Lama fuori legge. Insiste nel dire che il problema del Tibet è un problema interno e che si piegherà.
Il potere cinese si fa sempre più duro ed attacca dicendo che “nessuna forza al mondo può fermare la fiaccola dei Giochi di Pechino”.
I cinesi boicottano i prodotti francesi perché la Francia ha diffuso le immagini della protesta.
La comunità internazionale cerca di correggere l'incorreggibile. Ma ora è troppo tardi. L'errore, l'errore madornale, è stato di consentire alla Cina di organizzare queste olimpiadi. Il resto non è altro che lacrime di coccodrillo.
Noi scriviamo a fine maggio; non si può prevedere quello che succederà fino al termine dei Giochi.
Speriamo che quando le luci della ribalta saranno spente, le misure di ritorsione e la vendetta non diventino ancora più dure nella Cina post olimpica.

Iannis Papageorgiadis

PER PROTEGGERTI... (Ja na se filàtzo)

--Per proteggerti io ho messo guardie:
sulle montagne il sole, sulle pianure l'aquila,
e alle navi il fresco vento del nord.
Ma... il sole è tramontato e l' aquila addormentata
e le navi hanno cacciato il vento del nord
e così la morte ha avuto l'occasione di rubarti.
Ma in quel posto dove vai, marito mio
incontrerai il serpente, tu luce degli occhi miei
e poi tu mi ricorderai, e ritornerai.
Dimmelo, caro mio, quando tornerai
e io spargererò rose sopra le montagne
e petali di rose sulla tua strada--
"Se tu spargererai rose, prendile in mano e senti il loro profumo
perchè io non vengo indietro, mai ritornerò.
da dove sono andato alle montagne e ai campi e in nessun luogo,
dove la madre non ha figli e i figli non hanno madre,
nè il marito ha moglie e non ci sono più incontri."

Theonia

Ti skalìzzi ti potìzzi

"buona sera, mia cara
in mezzo al tuo cortile fiorito
cosa zappetti, cosa annaffi,
non vieni fuori a vedermi?"
--Giovanotto, che ti interessa
del mio potare ed annaffiare?
Sono fiori profumati
Per colui che io amo.
"Non zappare questi fiori
pianta basilico
che se arrivano gli uccelli
o se passano gli usignoli
ti ruberanno dalle piante
i fiori ed i boccioli"
--Se mi ruberan le piante
ho altre da piantare
per zappare ed annaffiare
per quel bello che io amo-
Theonia

Costruiamo il futuro

Passeggiando nei paesi greci e non, mi sono accorto che quando vai a parlare del giornale griko e dici che vuoi impegnarti per far vivere la lingua grika, tutti si mostrano contenti, ma molti ti guardano come fossi un bambino intento in giochi di fantasia e tornano a pensare alle loro cose “serie”. Magari quelli stessi trenta anni fa credevano di poter rivoltare il mondo intero e ogni tanto andavano a menare le mani per le loro idee.
Non voglio dire che tutti dovrebbero credere nel Griko vivo, capisco che non è facile dimostrare quanto possa giovare non restare fermi a guardare il mondo che ti scorre sopra, cambiandoci la lingua, la storia, iol cuore, la testa. Però almeno sarei più felice se la gente venisse a dirmi che non può pensare al Griko perché ha in mente ideali più grandi in mente, perché è impegnato a migliorare il mondo, altro che sette paesi griki.
Sappiamo che non è così, le grandi cose che ha in mente la gente oggi sono i soldi, la carriera, una vita tranquilla, il divertimento. E questo per coloro che hanno vissuto il ’68 e il ’77 ma anche per i giovani, che vengono spinti oggi sempre più a pensare al proprio bene. Possiamo dire: meglio un popolo con la testa vuota e tranquilla del sangue versato per strada. Può essere.
Ma il sole sorge e tramonta su di noi anche se stiamo a guardarci i piedi, il mondo non sta fermo, lo spingono coloro che lo vogliono, quelli che credono in qualche idea, anche la peggiore. Oggi perdiamo il Griko, domani cosa perderemo?

Francesco Penza, Maggio 2008

lunedì 21 aprile 2008

Intervista al vicesindaco di Cutrofiano Giovanni Leuzzi

Sindaco Tarantini, dicono che è da 150 anni che a Cutrofiano non si parla più il greco. Perché, allora, avete voluto tornare di nuovo nella Grecìa salentina?


Cutrofiano, in effetti, ha perduto la lingua grika nel corso dell'800, e però tu sai che la lingua è solo una delle caratteristiche, delle emergenze della Grecìa Bizantina, che ha caratterizzato tutta la fascia centrale del Salento. Al di là della lingua che comunque permane nei cognomi, negli agnomi, nei toponimi, nei riti, nei culti, nella gastronomia, noi riteniamo di dover riscoprire per intero una identità, che per quanto mi riguarda da molti anni io considero un'identità volutamente negata. D'altra parte la lingua tu sai che, anche qualcuno dei cosiddetti comuni ellenofoni l'ha perduta esso pure, tipo Soleto, tipo Melpignano, Martignano. Corigliano è un po' più conservativa, Sternatia pure, a Martano e a Calimera stanno a metà strada, ma insomma, gli altri comuni sostanzialmente la lingua l'hanno persa, e purtroppo non è più uno strumento d'uso e non ha più quella funzione che aveva fino a qualche 50ennio, 60ennio, secolo fa, e quindi la grecità si è man mano perduta. Quindi abbiamo voluto riscoprire una identità storico-culturale, sulla quale innestare tutti i nuovi processi amministrativi, culturali, politici e identitari che, come sai, scuotono la Grecìa Salentina da un po' di anni.


Fino ad ora, avete raggiunto qualcosa di quello che vi eravate proposti, entrando nell'Unione dei comuni della Grecìa salentina? Siete un centro grande e forte, e forse avete più da dare che da prendere.


C'è il risultato di aver approfondito la conoscenza reciproca. Altro grande risultato è di essere già entrati noi in alcune progettazioni d'area, e di aver anche ottenuto determinati contributi, grazie alla cabina di regia che nella Grecìa funziona gìa da un po' di anni. E' vero che siamo un centro grande e forte, se penso che abbiamo 9'300 abitanti circa, abbiamo un territorio enorme di 5'600 ettari, abbiamo la gran parte del territorio estremamente fertile dal punto di vista dell'agricoltura, e abbiamo attività estrattive purtroppo sotto certi aspetti, abbiamo turismo, artigianato, abbiamo emergenze importanti. Noi non abbiamo né da dare e né da prendere di più rispetto agli altri. Ci sentiamo nella pari dignità, e abbiamo delle emergenze specifiche all'interno dell'Unione dei comuni, per esempio la terracotta tradizionale, per esempio il Museo della terracotta, che è monotematico e per noi importantissimo, e per esempio il borgo rurale di via Chiusa che sarà una vetrina delle produzioni e delle attività agricole. Il Parco dei fossili, d'altra parte i fossili di Cutrofiano fanno bella mostra nel Museo di scienze naturali di Calimera da moltissimi anni. Quindi abbiamo delle caratteristiche nostre, proprie, e però riteniamo che queste peculiarità vadano inserite all'interno di un processo creativo e di sviluppo dell'intera area.


Quali sono oggi le potenzialità e le vie per uno sviluppo sostenibile e culturalmente utile del territorio dell'Unione dei comuni?


Le potenzialità e lo sviluppo sostenibile, riguardano intanto un aspetto sul quale va dato merito a chi nella Grecìa ha lavorato: cioè l'aspetto della identità. La „Notte della taranta“, giusto per fare un esempio dei più abusati, ha scaricato sull'area, sulla Grecìa e sul Salento, l'interesse generale a livello nazionale ed anche internazionale. Al di là degli aspetti culturali dei quali si potrebbe discutere e ragionare, il problema è che noi dobbiamo rafforzare l'identità nostra, quindi già un primo elemento. Mantenere e rafforzare l'identità, che ha conosciuto in questi anni importantissimi sviluppi. D'altra parte, inserire nuove idee ed indirizzi. Io so di Martignano il problema del parco eolico, perché lì, un discorso comune riguardo l'energia alternativa rinnovabile, va fatto. Riguardo la cultura, le emergenze e le risorse cosiddette immateriali, lì va fatto un censimento serio e vanno messe in rete, in modo tale che il turismo, la cultura le scuole abbiano modo di fare degli interventi e delle visite che siano razionali, che siano utili, che siano profique e che siano inserite in un contesto di fruizione molto più ampio. Questa è una delle idee, e così anche l'artigianato, la tipicizzazione degli antichi mestieri, l'agricoltura di qualità e di nicchia, penso anche alle iniziative industriali di nuova generazione. Le aziende vinicole che abbiamo qui a Cutrofiano, le aziende di agricoltura biologica. C'è un lavoro enorme da fare sia sul piano delle risorse immateriali, di identità e culturali, e sia riguardo le iniziative economiche che dovrebbero rilanciare l'economia del territorio.


Il turismo può essere un'opportunità e una cosa buona anche per Cutrofiano?


Si diceva che il turismo è sicuramente un'opportunità importantissima – anche per Cutrofiano. Ma ripeto, non in un contesto di isolamento, perché nessuno degli 11 attuali comuni – io sono stato favorevole anche all'ingresso di Carpignano, quando avvenne – e Carpignano la lingua l'ha perduta addirittura prima di noi, è clamoroso che comuni vicinissimi, Martano e Carpignano, abbiano avuto percorsi completamente diversi. Così anche Galatina e Soleto, Galatina antichissimo centro della Grecìa, la lingua l'ha persa addirittura 4 secoli prima, siamo a questi livelli – Soleto e Galatina distano 2 chilometri. Quindi, ci sono fenomeni culturali straordinari, è però il turismo è certamente una delle opportunità fondamentali. Penso a tutte le emergenze anche archeologiche. Calimera, il Parco dei fossili; Galatina, i suoi musei; E poi questa grecità bizantina che ha lasciato delle tracce di straordinaria importanza. Tutto il patrimonio delle cripte, tutto il patrimonio dei culti, delle chiese bizantine in superficie. C'abbiamo un patrimonio che nemmeno noi conosciamo. Per non parlare della ipotesi di agganciarsi anche a Galatina. La fabbrica di Santa Caterina d'Alessandria a Galatina, è monumento di valore internazionale, e ricade proprio in quel periodo della grecità bizantina del Salento. C'è tutto un discorso sul turismo, e poi l'agriturismo, l'agricoltura di qualità, i prodotti tipici, c'è un mondo secondo me, che noi dovremmo avere la capacità di riscoprire e di rilanciare.


Cutrofiano è un centro economicamente molto dinamico. Pensando a questo fatto, sarebbe pensabile che Cutrofiano diventi un motore per tutta l'area grika?


Guarda io... (ride) mi viene da ridere, perché la domanda è posta in maniera intelligente, perché voi siete osservatori esterni. Noi a Cutrofiano subiamo le critiche più feroci, perché saremo un centro economicamente ormai distrutto. Quindi io rido un po' perché non mi ci ritrovo nel dibattito locale. In effetti, Cutrofiano può essere considerato un centro dinamico, è però nel corso degli ultimi anni e decenni, in una crisi molto molto pesante. L'agricoltura, la scomparsa della tabacchicoltura - Cutrofiano era il centro primario della tabacchicoltura salentina - produceva oltre 20mila quintali di tabacco. Quindi io so cosa vuol dire l'agricoltura e la tabacchicoltura che adesso è scomparsa, senza nessuna coltura alternativa. Viviamo una crisi profondissima dell'agricoltura, in un centro vocato all'agricoltura. Così l'artigianato, ed anche il commercio, Cutrofiano era famosa per le scarpe e per l'abbigliamento. Tutto questo non c'è più. Quindi c'è una crisi economica, nel quadro io ritengo generale, del sistema economico del Salento. Il Salento, secondo me, va ripensato dal punto di vista economico, perché la speranza nella produzione di nicchia, nella produzione di qualità, nell'ortofrutta, e la mancanza di qualunque ipotesi di industrializzazione, la crisi dei grandi poli economici a Brindisi e a Taranto che richiamavano una marea di manodopera salentina, e anche la crisi delle assunzioni nella pubblica amministrazione. Penso a quanti lavoravano da Sternatia o da Zollino, alla ferrovia, alle forze armate alla polizia. Non siamo economicamente più dinamici degli altri, ma viviamo le stesse contraddizioni che vivono gli altri centri. Possiamo diventare, per il territorio che abbiamo, ma anche per le professionalità e per l'esperienza industriale, possiamo diventare un attore importante nell'ambito di una ipotesi più vasta di sviluppo.


Sembra che Cutrofiano abbia un tasso di dissoccupazione più basso paragonato al resto della provincia di Lecce. Cosa fate meglio degli altri?


Anche qui accenno al sorriso di cui alla precedente domanda. Non ho studiato le tabelle relative ai tassi di dissoccupazione comune per comune. Io vedo che anche da Cutrofiano i giovani vanno via. Ho l'impressione che i studi sulla dissoccupazione forse tengono conto delle iscrizioni agli uffici del lavoro o alle agenzie del lavoro. Siamo in un epoca in cui la grandissima parte dei giovani non si iscrivono più alle agenzie e agli uffici. Per cui, io credo che anche qui abbiamo la dissoccupazione massiva, soprattutto giovanile e feminile, che hanno gli altri comuni dell'area. Quindi lo sviluppo, o è unitario, e veda coinvolte la provicia, la regione, le politiche comunitarie. Ovviamente c'è la speranza, che non essendo più il Canale d'Otranto un mare di frontiera, e quindi essendo obbligati noi ad aprire la nostra economia all'est del Mediterraneo, all'Egeo e al Medio Oriente, il Salento possa diventare di nuovo quello che era molti secoli fa. Cioè terra di passaggio, di porte, di collegamento, e quindi di sviluppo – perché questo era il Salento Bizantino, e il Salento Imperiale Romano. Era terra centrale del Mediterraneo, nel commercio tra gli stati e nei rapporti tra Oriente ed Occidente, nei rapporti tra Asia ed Europa, nei rapporti tra Africa ed Europa. Noi per esempio ci siamo gemellati con un comune omologo greco, anche per dare un segnale di attenzione a questo tipo di problematiche. Quindi io credo che, anche qui, lo sviluppo o è unitario, o non è.



Come vedete Cutrofiano e l'Unione dei comuni fra dieci anni?

Io credo che l'Unione dei Comuni della Grecìa Salentina sia organimo serio e vero, fondato su identità e su progettualità. Identità e progettualità che devono continuare ed approfondirsi. Non a caso noi abbiamo una soglia di abitanti come Unione che ci consente di entrare nei progetti e nelle programmazioni economiche dell' Unione Europea. Credo che insieme alla città di Lecce siamo l'unica realtà organizzata, in grado di captare determinati finanziamenti, determinate misure di programmazione economica. Però io vedo e credo, e per quel poco che potrò mi adopererò, affinché l'Unione dei Comuni estenda la sua attività e le sue competenze alla messa in rete dei servizi. Perché i comuni soffrono, e soffrono specialmente i piccoli comuni. Ancor più dei piccoli comuni anche i medi comuni come Cutrofiano. Soffrono ancora di più i problemi della finanza locale. Con i sistemi telematici che abbiamo oggi, la messa in rete di servizi, per esempio un unico ufficio tecnico, con un cervellone in un comune e con le diramazioni di servizio, che tratti in maniera unitaria gli aspetti dell'urbanistica del territorio, dei piani produttivi, dei lavori pubblici, i finanziamenti che arrivano dall'Europa per i centri storici, che ogni comune si spende per fatti suoi e secondo modi suoi, potrebbero, se guardiamo alla prospettiva, inserirsi in progetti unitari. In modo tale che tutta l'area greco-salentina venga riconosciuta come tale, anche attraverso le opere pubbliche, attraverso le situazioni del territorio, attraverso l'obbligo del ripristino dei muretti a secco, attraverso un tipo di edilizia, attaverso un tipo di viabilità, attraverso modalità di recupero dei centri storici che siano unitari, che siano pensate e ragionate. In modo che l'area sia immediatamente individuabile non solo per le sue emergenze immateriali – la musica, la lingua, la cultura, la gastronomia – ma anche dalle emergenze materiali. Quindi, i programmi unitari di servizi delle opere pubbliche, il trattamento del territorio, di energia, di smaltimento dei rifiuti, c'è tutta una serie di problematiche che devono portarci a sentirci sempre di più facenti parte non di un campanile, armato contro gli altri perché questo è accaduto finora, quando i nostri vecchi difendevano ognuno il suo santo, e facevano a gara per quale santo fosse più taumaturgico. Noi dobbiamo superare questa logica attraverso la riscoperta dell'identità. Attraverso la consapevolezza che conviene a tutti stare insieme. Si riscopre anche l'appartenenza ad una comune radice, ad una comune storia, ad una comune identità.

Unione dei comuni della Grecìa salentina: Si muove ancora qualche cosa nella Grecìa salentina? ('Enosi tos chorío tis Grecìa salentina: Síete 'nko...)

Negli anni 2004 e 2007 «l'Unione dei comuni della Grecia salentina» si è espasa, assistendo all'entrata del centro di Carpignano Salentino, e seguitamente a quello di Cutrofiano, tutti e due dei paesi dove oggi non si parla più il greco, e arrivando così a comprendere attorno ai 54mila abitanti.

Dietro all'Unione c'era l'idea che vengano coordinati certi servizi, e una parte delle amministrazioni del territorio griko. Il nostro territorio tanto ricco di cultura e di storia, non doveva rimanere per sempre terreno bruciato di arretratezza, povertà e fame. La cultura, la lingua greca otrantina e l'ellenismo del territorio, potevano aiutare a dare respiro ad un grande progetto di turismo culturale.

La Grecìa salentina, come entità giuridica e come minoranza linguistica storica, secondo la Legge per le minoranze n° 482 dell'anno 1999, ha diritto di ricevere delle sovvenzioni regionali ed europee, sempre per l'attuamento di varie misure a difesa della lingua grika. Dopo la nascita dell'Unione dei comuni, nei paesi della Grecìa salentina si è assistito ad una lunga fase di sviluppo, ma prevalentemente nei settori del turismo e dello spettacolo, grazie all'emergere di strutture per la ricettività come i Bed&Breakfast (B&B), al prender piede del „fenomeno taranta“ come la «Notte della Taranta», la «Passione d'Arte» e parecchie altre.

Oggi nel 2008, sembra che sia sopita quella voglia di griko e di Grecìa Salentina che c'era nel 2001, e che non si muova più tanto parlando di griko. O mi sbaglio, e tutto è stato solo una bolla di sapone, che con il tempo è scoppiata? Cosa fa l'Unione dei comuni per insegnare la lingua grika ai bambini nelle scuole, nell'istituzione che sarebbe capace di cambiare la sorte di questa lingua? Quali vantaggi ha portato al griko la Legge n° 482/99, o è rimasta questa legge comunque solo carta straccia? Che succederà adesso che sono entrati a far parte dell'Unione anche Carpignano Salentino e Cutrofiano?

Chiediamo a tre sindaci che dovrebbero saperne di più di questi temi. Si tratta di Cosimo Marrocco, sindaco di Carpignano Salentino, del sindaco di Cutrofiano Aldo Tarantini, e del sindaco di Melpignano Sergio Blasi. L'ultimo è uno dei padri dell'Unione dei comuni, l'ideatore del Festival Notte della Taranta, e uno di quelli che conoscono bene i meccanismi dentro all'Unione.

La vecchia (E vecchia)

Una sera mi ritrovai in piazza a Martignano con Narduccio, un signore che parla grico dalla nascita, parla grico a casa con sua moglie, con quelli che ancora lo parlano ed anche con me quando ci incontriamo.
Era febbraio e faceva molto freddo.
Mi chiese: - Tu sa cos’è la VECCHIA?
Io gli dissi: - Si, sono le ultime giornate di febbraio, quando fa molto freddo e il tempo è brutto.
E lui di nuovo: - Ma la VECCHIA sai cos’è?
E io recitai il proverbio: - PRESTAME DOI GIURNI FRATE MARZU CA VITI A STA VECCHIOTTA CE LI FAZZU, CA SE LI GIURNI MEI LI TENIA TUTTI FACIA CU QUAJA LU VINU INTRU ALLE VUTTI.
- Ma tu la Vecchia l’hai mai vista?
Io rimasi un po’ sovrappensiero e gli risposi: - No.
Ci salutammo e finì lì.
Ma mi era rimasta in mente quella domanda e non capivo cosa lui volesse dire: se io avevo mai visto la Vecchia. Mah!
Io sapevo che il proverbio recita così perché il mese di febbraio è di 28 (o 29) giorni non di trenta o trentuno come gli altri. E dice così, chiedendo in prestito due giorni al mese di Marzo, perché in quelle ultime giornate fa sempre molto freddo: se Febbraio avesse trenta o trentuno giorni come gli altri mesi, potrebbe fare ancora più freddo, tanto da far rapprendere il vino nei barili.
Io sapevo anche che non è possibile che il vino si rapprenda: l’olio può coagulare per il freddo ma il vino no.
Ma la Vecchia non l’avevo mai vista!!
Dopo alcuni giorni incontrai di nuovo Narduccio e gli chiesi:
- Ora dimmi cos’è la Vecchia!
E lui cominciò a raccontare:
- Ero bambino di sei anni e andavo sempre a lavorare in campagna con un mio zio, lo zio Luigi.
Erano gli ultimi giorni di febbraio, faceva molto freddo e il tempo era brutto. C’era pure la neve sui campi, e andammo a piedi per fare una certa cosa verso “Chiccu Rizzu”.
Pian piano, camminando sulla neve, giungemmo sui Murghi e da lì alla masseria di Chiccu Rizzu.
Mio zio vide che io tremavo per il freddo e mi disse: “Ora prendiamo la Vecchia!”
E ridendo cominciò a dire, ad alta voce: “PRESTAME DOI GIURNI FRATE MARZU CA VITI A STA VECCHIOTTA CE LI FAZZU, CA SE LI GIURNI MEI LI TINIA TUTTI FACIA CU QUAJA LU VINU INTR’ALLI VUTTI.”
E chiamò: “ Gaetana, apri, fai vedere la Vecchia al bambino.”
E lei “Si, entrate a casa che ora arriva. Aspettate un poco.”
Io un po’ mi spaventai, ma seduto davanti al fuoco, sotto il camino, aspettavo di vedere la Vecchia.
Dopo un po’ mio zio: “Gaetana, ancora deve arrivare la Vecchia?”
E lei: “Si un altro po’ di pazienza, ora arriva.”
Dopo un poco la zia Gaetana ci chiamò e disse: “Entrate qua dentro che la Vecchia è pronta.”
Ci portò nella cucina dove c’erano due grandi pentole piene di RICOTTA, tanta ricotta calda e morbida.
E mi disse: “Tieni Narduccio, piccolo mio, vieni, questa è la VECCHIA: mangiala calda calda, che oggi il tempo è proprio brutto: sono i giorni della Vecchia.”

Il nostro Griko è morto? Riposi in pace. O grìcomma pèsane? Rifrìsco n’achi

E noi che scriviamo in Griko, siamo morti? Voi che leggete siete morti?
È morta la nostra lingua e siamo rimasti orfani di madre? Noi che siamo rimasti, chi siamo? Di dove siamo? Di Roma? Di Milano? E che Griki siamo se non parliamo più la lingua grika?
E i nostri figli chi li ha partoriti? Non sono più Griki? A che ci serve di andare a cantare in Griko per il mondo e poi dire che qua da noi il Griko è scomparso e non dobbiamo parlarlo?
Perché dunque ci dicono Greci Salentini? Il canto griko va insieme al parlare griko. Che facciamo: cantiamo senza capire che diciamo? Il Griko ha perso le parole? Ci sono le parole! Karanastasis ha contato 2500 parole grike! E non c'è nessuno che prende e cerca soldi per poter tradurre in italiano il libro che ha scritto, sul nostro popolo, prima che muoia! Ha scritto sulla cultura e sul lessico che avevamo e che abbiamo ancora. Le parole le abbiamo, ripetiamocelo! Il nostro vecchio prete, quando i calimeresi entrarono per la prima volta nella chiesa nuova per festeggiare, parlò in griko a tutti! La chiesa era così piena che non conteneva più nemmeno uno spillo, e don salvatore ci parlò in Griko. Disse che per sessanta anni a Calmiera ha parlato e confessato in Griko. La gente fino all'anno scorso, gli parlava in Griko e gli diceva tutte le pene in Griko. E quel prete le diceva in Griko tutte le consolazioni. E anche adesso - il 17 febbraio - la gente ha capito il proprio parroco che parlava in Griko in chiesa. E allora chi ha perso la nostra lingua? L'ha persa chi ha voluto che scomparisse. Coloro che credono di essere diventati grandi a Bologna o Milano, e non venuti a mangiarci la pelle, come fanno i milanesi, che costruiscono strade, alberghi e villaggi turistici sulla nostra terra: là dove la nostra gente non può entrare sennò paga. Vogliamo la nostra lingua, vogliamo le nostre parole, vogliamo imparare di nuovo quello che abbiamo dimenticato!
A scuola, il Griko deve tornare con più grazia! Con le canzoni italiane dobbiamo imparare anche quelle grike. I ragazzi che sono al liceo classico devono imparare come la nostra lingua si è evoluta dal greco antico. Noi non siamo una colonia, siamo Grecia. Di queste parti erano Archimede e Pitagora. In Sicilia è morto Eschilo, che era venuto a mostrarci la tragedia greca. E allora, perché dobbiamo vergognarci di parlare la lingua più importante del mondo? Non capiamo che è un peccato? Lo capivano a Bruxelles e non lo capiamo noi? Chi sono quelli che ci dicono che è morto il nostro Griko! Fanno come la civetta? E se è morto perché devono darci milioni di euro? Solo per le nostre radici? Tutti hanno radici, ma non gli danno quattrini per questo. Noi scriviamo in Griko perché sappiamo che ci sono molti che possono capire. La Spitta scrive in Griko per parlare a chi vuol capire! Voi che ci ascoltate e capite, aiutate la nostra lingua a vivere nei paesi! Non credete a chi ci dice che è morto e neanche lo piange, anzi balla e suona! E ci riempie la testa e ci chiude la bocca per sempre! Adesso parlano i bambini che non sanno ascoltare più niente dalle proprie radici.
Abbiamo un giornale che ci parla in Griko da un anno! Non fateci tagliare la lingua che ci hanno parlato i vecchi. Per questo abbiamo fatto la Spitta, per questo vi chiediamo di aiutare la Spitta.
La Spitta ci fa evitare di dimenticare le parole, la tradizione e le radici che abbiamo ed avete anche voi. Questo germoglio che ci è rimasto, dobbiamo nutrirlo! La Spitta la scriviamo per quelli che il Griko lo sanno o vogliono impararlo (molti giovani di ora lo capiscono bene anche se non lo parlano). Tanti girano il mondo per trovare l'oro. E quale oro è più bello della nostra lingua?
La poesia l'abbiamo sulla nostra bocca e nell'anima. Non buttiamo il bambino con tutta l'acqua sporca. Il Griko ha bisogno di aiuto. La nostra vita ha bisogno di aiuto. Non facciamoci una tomba prima di morire. Chiamate il dottore! Scrivete sulla Spitta! È arrivata Pasqua anche per la nostra lingua, Pasqua di resurrezione!

Il tempo della vita (O cerò a' tti zoì)

Ero ancora una bambina.

Con gioia e allegria mi aprivo alla vita

mio padre era il re

mia madre il sole caldo;

mi hanno insegnato a vivere e ad amare

il bello, il bene e non il male

ad aiutare il prossimo con gioia.

Saggio era il loro sapere

dolce la parola

che ogni giorno mi consolava

al ritorno del loro lavoro (nei campi).

Così le cose belle (piano piano) cadono nell'oblìo del tempo

e niente e nessuno torna indietro nel suo cammino

io ti prego o tempo fermati un po'

fammi tornare bambina!

Esaudisci il mio desiderio:

fa che io guardi il viso dei miei genitori

affinché avverta (ancora) il profumo del loro amore

e possa io baciarli per l'ultima volta.

Mi rispondi che non hai voglia di far cosa gradita

il tuo freddo cuore non raccoglie (neanche) le preghiere

perché tu sei nato con il fare di un mago

ed ovunque tu passi tutto chiudi per sempre a chiave.

Se all'improvviso la legge del tempo dovesse mutare

e tu decidessi di abbandonare l'arcolaio della vita

ricordati che io sarei ben felice di aspettare.


Inedito,

-Pulimeno Giovanna, Corigliano d'Otranto-

Quante tessere ci vogliono per restaurare il mosaico del Grico? (Posse tèssere teli na stiastì to “mosàico” tu Grìcu?)

Quando una persona vuole apprendere la lingua greca otrantina oppure vuole aggiungere qualcosa alle poche parole griche che ha imparato dai genitori, va ad aprire uno dei vocabolari di grico. Ma lì spesso non trova le parole che servono e finisce per pensare che la lingua grica è così messa male che non riesce pù a comunicare nulla.

Uno degli studiosi che si sono occupati di grico scrisse una volta che il grico è come un mosaico che ha perso molte tessere e si è rovinato.

Coloro che hanno scritto vocabolari hanno agito come per conservare questo mosaico rovinato in un museo, lo hanno ripulito ben bene in modo da far risaltare solo le parole veramente “greche” di questa lingua. Ma ripulendo ripulendo hanno buttato via tutte le parole latine venute dal dialetto romanzo che erano comunque tessere dello stesso mosaico.

Prendiamo ad esempio parole come “piacèo” e “fiùro”. Possiamo dire che sono parole prese a prestito dal dialetto romanzo. Ma sono nella lingua grica da chissà quanti anni, di certo più di centocinquanta.

Poi ci sono anche le locuzioni come “èrchete sto pì”, “canno sto dì”, che non si trovano nei vocabolari e sono necessarie per parlare.

Non voglio prendermela con coloro che hanno fatto i vocabolari, hanno lavorato bene e dobbiamo sempre ringraziarli. Voglio dire che questi vocabolari sono fatti per la scienza, per la glottologia, per quelli che vogliono studiare questa lingua, non per quelli che vogliono parlarla. Sono fatti per una lingua morta, non per una lingua che ha vita e si parla. Quando vuoi imparare una lingua straniera trovi nel vocabolario come tradurre tutte le parole della tua lingua. Con il grico non ce la fai, ed io credo che non è colpa sua.

Coloro che parlano bene il grico sanno e ti dicono che con il grico puoi dire tutto. Molte tessere le possiamo ritrovare negli scarti puliti via dalla lingua e dai vocabolari.

Però qualche tessera manca davvero nel grico, oggi la gente parla di cose che non entravano mai in conversazione cento anni fa: medicina, sport, economia, legge, politica… la tela del mosaico si è allargata e nessuno ha messo tessere nuove per non lasciare spazi vuoti.

Non c’è lingua che sia nata piena di parole adatte ad ogni tempo e ad ogni luogo, tutte le lingue si arricchiscono ogni giorno con neologismi. Ogni tanto una parola nasce dalla bocca della gente, ogni tanto nasce dall’idea di qualcuno che lavora in una nuova disciplina, ogni tanto una parola viene importata dall’estero e queste nuove parole vengono raccolte dagli studiosi e messe nei vocabolari: si sentono in televisione, si leggono nei giornali e sembra come se ci fossero state sempre.

Così poteva succedere anche per il grico e qualcosa si era mosso già: qualcuno ha iniziato a dire “dìsculo” per difficile, “dulìa” per lavoro a Sternatia, nella mailing-list Magna Graecia avevamo discusso se chiamare “cinetò” il cellulare. Ma queste parole sono morte appena nate percè nessuno le ha raccolte, scelte e messe nel mosaico per farle apparire come parte integrante della lingua. Abbiamo voluto tenere il grico sotto vetro, perché apparisse come specchio del mondo antico. E adesso chi vuole parlare di altro che vita di paese, altro che affari di campagna finisce per restare senza parole, oppure se è capace, riempie la conversazione di parole italiane e si sente insicuro, come se camminasse al buio. Non mi è capitato di vedere il “telegiornale” in grico che hanno fatto nella Grecìa Salentina, quelli che l’hanno visto mi hanno detto sempre che era una cosa ridicola, che non era grico e infine la grande bugia: che il grico non è adatto per queste cose.

Certo, forse coloro che lo facevano non erano bravi a parlare grico come i nonni, ma può essere anche che il grico non riesce a camminare bene quando viene portato fuori dal recinto dove lo abbiamo lasciato e lo vogliamo sempre tenere, come una persona rimasta allettata per un anno. E’ facile ridere del telegiornale grico, ma meglio faremmo ad aprire quel recinto, ad aiutare il grico ad alzarsi dal letto dove lo abbiamo abbandonato e a raccogliere le tessere per riparare il mosaico.

Adesso ci sono le “Unioni di fatto” (Arte èχi e”Unioni di fatto”)

Nota: quella che segue è una traduzione il più possibile letterale. Anche la costruzione sintattica propone nei limiti del possibile quella del testo grico.

Ni: Nina; Na: Narduccio; Gi: Giuseppe.


Adesso ci sono le “Unioni di fatto”

Unione di fatto”. Così si dice quando due vivono insieme senza essere sposati. Il più delle volte si tratta di un uomo e di una donna, ma qualche volta puoi trovare uomo con uomo e donna con donna. Non stiamo qui a vedere se è bene o è male, possiamo soltanto dire che, al di fuori di qualche prete o qualche bigotta, non importa a nessuno.

E’ possibile che queste cose sono sempre esistite, ma fino a pochi anni addietro prima di sposarsi si dovevano seguire alcune regole.

Questa che vi racconto è la storia di Narduccio e di Nina da quando si fidanzarono fin quando non si sposarono.

Per prima cosa l’uomo doveva “mandare” alla donna. Per questa cosa molte volte era utile il “mandatari” che portava l’ambasciata.

Ni: mentre stavamo al mercato per scegliere un abito a mio fratello disse questi:

io ho una ambasciata per te.

Dissi io: dimmi chi è che mi regolo. Per dirmi, per dirmi, disse che era per lui stesso.

In mezzo c’è sempre un altro

Io stavo volendo un altro, ma non mi piaceva molto, che non era neanche martanese.

Dissi io: se mi dai otto giorni di tempo per litigare con lui, per trovare un’occasione, che stare con due non lo volevo mai.

Combinazione quella sera pioveva e non venne affatto quello di Carpignano. Io trovai l’occasione e quando venne il domani sera gli dissi: dove sei andato ieri sera, .. qui, la … e lo mandai. Lui piano piano andò via.

Questi neanche diete tempo otto giorni, dopo due sere venne. Beh! Cosa ti ha detto, domando. Allora piano piano gli dissi di sì e iniziammo così. A candelora si svelo ai miei pensieri, e continuammo sempre così. Continuammo per tre anni e mezzo.

Poi questo avrebbe voluto sposarsi. I miei non volevano affatto e piano piano eravamo entrati un poco, non in astio, ma i miei invece di amarlo lo odiavano.

Gi: perché?

Ni: perché questo voleva sposarsi ed essi si regolavano di non essere pronti. Prima ci dissero di si, che avrebbero visto quando sarebbe arrivata la buona stagione.

Na: ci dissero: ci dai un anno di tempo e così vedremo.

Ma qualcosa può sempre andare storto

Suo fratello, nel corso dell’anno corrente, quando mi dissero così, non voleva (non era fidanzato) nessuno. Durante l’anno trovò la fidanzata ed essi volevano sposare prima quello (il fratello) che era più anziano, che questa che era più piccola.

E tirammo avanti così: lui voleva la fidanzata ed io questa. Ma noi contavamo che l’anno venturo ci saremmo sposati.

E Leonardo non voleva perdere tempo

Quando passarono sei, sette mesi gli ho detto a loro: “nunna” Assunta, “nunno” Pati, perché allora così venivano chiamati i genitori, come avevamo detto l’anno scorso, che era entrato l’atro anno no!, non lo avete a piacere che io porti i miei per parlare di quando ci dovete sposare?

Ma una cosa se deve andare torta, stai tranquillo che andrà.

Ah!, disse mio suocero, avevamo detto così, ma adesso si vuole sposare Ntoni, come faccio a sposarvi entrambi?

Ma Leonardo ha le sue buone ragioni.

Dissi io: se quello non si sposa mai, io devo sempre aspettare? Insomma partimmo così.. che poi quando gli dissi che avrei portato i miei, mi dissero: portali quando vuoi, con tanto piacere, ma non per fare questi discorsi di matrimonio.

Dissi io: e allora i discorsi di matrimonio quando li facciamo?

Ma anche il suocero aveva filo da tessere.

- Eh!, che vi mangiano gli anni!, disse mio suocero. Che poi egli si era sposato di trentadue anni, per (via della) guerra, quella, mia suocera era di ventotto.

Ancora, non vi mangiano gli anni! Potete aspettare un altro poco!

- Ma io, dissi io, tanto che aspetto, tanto che non aspetto, chi devo aspettare che mi mangino gli anni o stare con tua figlia e fare una famiglia anche io?

  • Eh! Non può essere, qua.. la…

Erano (passati) quasi quattro anni e non avevamo mai litigato.

Ma adesso mettete attenzione..

Allora mi mettete in condizione, dissi io, di prenderla, di portarla via, di fuggirla!

Ma gli disse proprio così?

Ni: non gli hai detto così, gli hai detto: io a litigare con quella, con tua figlia, non litigo. Voi non mi sposate, ditemi voi come la devo combinare!

Essi intuirono il nostro pensiero e dissero: fate come volete! Ma da quel momento in avanti quando arrivava dentro casa non lo salutavano e non gli dicevano neanche siediti. E tu cominciasti ad alterarti e dire: così non continuo più!

E allora..

Quelli si comportarono in quella maniera e allora fu necessario dunque, per tagliare corto, che dopo andammo via.

Ma poi dovevi ritornare!

Na: adesso dovevamo ritornare, vai ad entrare lì dentro (in casa dei suoceri) più! Dopo due sere ritornai io e bussai:

  • Chi è, disse mia suocera?

  • Dissi io: Leonardo!

  • Non c’è permesso per nessuno!

  • Buonasera! E andammo via.

Ma le cose sempre che si devono accomodare.

Dopo quattro sere, bah!, disse mia madre, adesso vengo io per vedere cosa dicono.

Andammo, andò lei, busso:

  • chi è?

  • La Concetta, disse mia madre.

  • E con chi vai? Disse quella da dentro.

  • Beh!, disse quella, da sola non vado, vado in compagnia.

Ella era entrata nel letto. La buon’anima di suo padre venne ci apri, entrai io per primo,

Sempre si dipana la matassa, Dice Domenicano Tondi. Ma sempre che devi chiedere perdono!

Lo abbracciai, lo baciai: perdonaci! Lui mi disse chi vi perdoni Dio. Poi andai da sua madre ed anche dissi perdonateci. Poi entrò questa, mia moglie, e mia madre. Quando questa bacio suo padre le disse la stessa cosa.

Le donne sono sempre più selvatiche.

Quando andò da sua madre, che già era entrata nel letto per dormire, invece di perdonarla la prese per capelli.

Vai piano adesso. E’ sempre tua figlia, ma è anche mia moglie!

Dissi io: che io qui dentro non sono venuto per picchiarci, per darcele! Siamo venuti perché ci perdoniate. Se volete, ci perdonate, altrimenti prendiamo la strada e andiamo via!

Ma la matassa si dipana sempre.

Poi la mia madre nuovamente.. piano piano poi.. la presero un po’ così, ma poi si calmarono. Le passammo, insomma, però ..

Mia Figlia non sta con noi, lavora lontano. Quando venne l’altra volta venne con uno, il suo amico, disse. C’è diverso tempo che vivono insieme (unioni di fatto). Io non sapevo niente, sua madre forse. Non domandò perdono lui, non cercò perdono lei. Quando ripartì di nuovo chiese qualcosa che ciò che guadagna molte volte non le basta a passare il mese.

Gi: quanto tempo vi siete amati? (siete stati fidanzati):

Na: circa quattro anni scarsi, tre e mezzo. Era il giorno della Candelora del 49 fino il 18 di novembre del 52, che poi siamo fuggiti.

Ni: poi aspettammo quattro mesi che allora per farti quei quattro pezzi, il mobilio, lo dovevi ordinare, lo faceva il falegname. Era inverno e diceva che non si seccavano bene le tavole. E passarono quattro mesi. Il 15 di marzo, poi, ci sposammo. Io avevo 23 anni e lui compiva 25 il 18 di novembre.

Gi: il primo figlio?

Ni: siamo andati piano. Allora era una vergogna, era brutto sposarsi e andare con la pancia, allora demmo tempo di sposarci prima. Ancora anche dopo che ci sposammo aspettammo che passasse un po’ di tempo.

Na: dopo quattro mesi che ci siamo sposati allora uscì incinta.

Anche mia figlia è incinta. Non è sposata e per adesso dice che non si sente di sposarsi. Adesso le comincia a notarsi la pancia, ma grazie a Dio, non è più una vergogna, non è brutto e non c’è niente da vergognarsi. La gente che lo sa ci chiede se siamo contenti. Siamo tutti una gioia. Veramente.