domenica 28 dicembre 2008

Ci hanno scritto in italiano...

Gentilissimo Direttore,
ho seguito con interesse e affetto le varie uscite del vostro periodico; ho letto e riflettuto a lungo sui contenuti e sulla sostanza dei vostri articoli, ripromettendomi prima o poi di intervenire, per esprimere (sempre che voi le riteniate valide) alcune mie considerazioni.
Tralasciando la scrittura sulla cui utilizzazione ci sarebbe molto da discutere (afsinikò, piuttosto che atsinikò, o atsinitò che dir si voglia, ecc..), o i varii significati che si vogliono collocare alle parole (ma pèfto, o pètto, come direi io, non vuol dire cado? E per dire mandare non bisogna dire arìdzo, o rìdzo come direbbero i miei amici di calimera e di Martano, contrariamente a quanto si legge sul glossario del numero di "alonari" u.s.?...), vedrei la necessità di rendere la lettura a chi non è parlante e pensante in griko, molto più agevole, eliminando: dz, ts, fs, sostituendole con "z" (dolce) e "zz" (aspra); ed eliminando ogni volta che la parola successiva non inizi con una vocale, la "enne" finale, aiutando la giusta dizione con il rafforzamento della consonante iniziale. In definitiva voi direnste, ad esempio: a' pao na s'afsikkòso (o: ... na s'atsikkòso) ...su priggo to' muso; mentre secondo me sarebbe più agevole: a'ppao na s'azziccòso su proggo to'mmuso; eliminando, per altro tutte quelle inutili "k" che altro non danno se non un tono di colore a una lingua già di per sé molto complicata per chi non la conosce profondamente. La "k" ha già una sua collocazione naturale nella scrittura grika quando deve distinguere: kiatèra quando distrattamente verrebbe la tentazione di scrivere chiatèra, o: chècci per kècci, ecc...
Direttore, bisogna facilitare la lettura a chi si accosta al griko (grico) per la prima volta, scrivendo il più possibile le parole nel modo in cui si pronunciano... in attesa di uniformare universalmente la scrittura in tutte le occasioni, a partire da questo bel periodico, orgoglio della gente grika (grica... perdonate l'insistenza) e soprattutto nelle scuole, onde evitare che al cambio dell'insegnante di turno cambi anche il modo di scrivere e di interpretare la nostra "calìn glossa"; con grande disorientamento da parte dei poveri alunni..!
Sas cheretò me ti'ccardìa!
Gianni De Santis (Sternatia)

Caro Gianni,
ti ringrazio a nome della redazione per la tua lettera che arricchisce la nostra discussione sul sistema di scrittura della lingua e ne apre un capitolo a proposito delle scelte lessicali. Concordo con te sulla discutibilità del nostro sistema di scrittura, anzi dovrei dire dei nostri sistemi di scrittura poiché abbiamo a suo tempo fatto la scelta di dare libertà ai redattori di sperimentare le proprie soluzioni in attesa di trovare un accordo condiviso per un sistema omogeneo che consenta di evitare confusione nei lettori. Mi concederai spero anche la facoltà di considerare discutibili le scelte in questo campo fatte da tutti coloro che si sono cimentati nella scrittura del griko.
Parlerò ora a titolo personale, non potendo esprimere ad oggi una posizione comune della redazione. La mia opinione è che nella scelta dell’alfabeto e della convenzione di scrittura del griko debbano essere prese in considerazione delle priorità fra cui certamente quella della massima comprensibilità da parte dei grikofoni alfabetizzati sulla base dell’italiano deve avere un posto di prim’ordine, ma non di esclusiva. A questa priorità infatti aggiungo: la rappresentazione di tutti i fonemi caratteristici del griko; la corrispondenza bi-univoca fra fonema e grafema, un ideale che difficilmente si vede applicato nelle lingue ma a cui ritengo si debba tendere per rendere il sistema facile ed evitare ogni fonte possibile di confusione; il rispetto dell’identità e unicità dei lemmi. Altre priorità potrebbero essere più controverse: c’è chi potrebbe preferire una scrittura che rispecchi maggiormente l’etimologia o che tenda ad avvicinarsi alla traslitterazione del greco moderno ed antico in caratteri latini. Ancora, al giorno d’oggi non di poca importanza potrebbe essere la compatibilità dell’alfabeto con il set di caratteri presente nella tastiera italiana dei computer. L'armonizzazione di queste diverse istanze non è semplice, di certo nella situazione in cui versa la lingua non può che prevalere la massima semplicità e comprensibilità.
La scelta di utilizzare il “fs” è stata fatta da un autore in parte per la sua origine martanese ma soprattutto per un razionale ben preciso e da lui spiegato nella nostra rubrica “pos enna gràtsome grika”: il tentativo di unificare nella grafia l’esito di Ψ e Ξ che nei diversi paesi si è diversificato in zeta aspra, fs/ss e sc. Si tratta di una soluzione che può ritenersi discutibile per varie ragioni, ma tuttavia va riconosciuto che ha una sua razionalità e che può essere criticata, ma con argomentazioni serie, non liquidata con una scrollata di spalle. Pefto può voler dire cado, ma anche invio (dal greco πέμπω), ed è un lemma attestato da diversi autori fra cui il Rohlfs a Calimera e Martano, evidentemente ancora presente dato il fatto che è stato usato sulla Spitta in una trascrizione di una intervista originale eseguita dall’autore. Certo, avremmo fatto meglio forse a precisare nel glossario il paradigma completo (petto, èpetza o “pefto, èpefsa”) per far capire che il riferimento non era al verbo “petto, èpesa”. Diverso può essere il caso di scelte lessicali fatte per arricchire il vocabolario con neologismi e prestiti, cosa che io cerco di limitare al minimo ma che non ritengo a priori un tabù perchè in letteratura è così che una lingua cresce e si evolve, non facciamo del Griko una mummia da esposizione!
Per quanto riguarda la soluzione che tu proponi per differenziare zeta dolce (dz) da zeta aspra (ts/tz) utilizzando z e zz, personalmente la trovo sensata, sebbene io ritenga che non sia scontato che il lettore riconosca immediatamente la zz come aspra, essendo usata nell’italiano con entrambe le pronunce. Inoltre, andrebbe o no portata fino in fondo, scrivendo quindi “senzza” e “speranzza”?
Sulla elisione della consonante finale anch'io sono abituato ad praticarla, anche se ho adottato una soluzione proposta sul giornale da Carmine Greco che lascia al lettore l'onere di pronunciare la seguente consonante assimilata doppia. Credo però che l'elisione in grafia della consonante finale crei facilmente nel lettore che conosce poco la lingua la falsa impressione che il Griko abbia perso le consonanti finali.
Sull’uso della C latina ed italiana al posto della K trovi d’accordo almeno un componente della redazione, io stesso pur abituato a scrivere in griko con la K ritengo l’ipotesi ragionevole. Tuttavia non trovo così scontata la tua affermazione secondo la quale la K avrebbe una collocazione “naturale” in griko nella sostituzione di chi/che italiani, essendo la ch utilizzata per esprimere l’aspirata. Io sono del parere che la K in griko o c’è, e allora usiamola senza creare ambiguità fonetiche, o non c’è, e allora si trovi un'altra soluzione per l'aspirata.
Insomma, la scelta del sistema di scrittura è un campo dove è facile avere opinioni diverse ed il rischio è di vedere la lingua perdersi completamente mentre noi restiamo a discutere se è meglio la K o la C. Per questo spero che la discussione che avevamo avviato nella redazione, grazie anche al contributo tuo e di altri lettori, ci porti a breve alla scelta di un sistema condiviso il più possibile semplice e rispettoso della lingua.
Francesco Penza

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