sabato 6 settembre 2008

Che non si rompa la macchina!

Oggi tutti andiamo a scuola e possiamo apprendere di tutto. Possiamo comprare libri quanti ne vogliamo e con pochi euro possiamo avere un’enciclopedia su DVD. E cosa dobbiamo dire poi della televisione: è sufficiente accendere per apprendere ciò che vuoi ed esche ciò che non ti interessa ed apprendere le novità là per là. Per non parlare poi di internet, pozzo smisurato: non c’è cosa, non esiste notizia che non si possa trovare; basta un niente per apprendere come fare. Mia moglie, che non conosce niente di computer ha appreso prestissimo, e devi vedere come si tiene grande con le sue amiche. Le dice: vai su “gogòl” immetti la parola che ti occorre e trovi ciò che vuoi. E veramente fa così quando le occorre qualcosa per il lavoro o cerca qualcosa di nuovo da cucinare.
Una volta non c’era niente di tutto ciò e a scuola erano pochi coloro che potevano andarci.
Questo mi diceva mio zio parlando di scuola:
Mio fratello maggiore non sapeva fare niente, a malapena negli ultimi tempi riusciva a mettere la firma.
Il medio fece la terza e non è cosa da niente, è, se non proprio come l’università di adesso, quasi.
Io non sono andato mai un giorno a scuola; non è che io sappia niente, però una cosa, anche se non la capisco molto, la leggo; non so scrivere bene, però scrivo. Che poi su le pale dovevi scrivere, sulle pale di ficodindia, la pala faceva da quaderno. Ricordo che la moltiplicazione non mi usciva mai, perché invece di iniziare da dietro, iniziavo davanti; una volta iniziai da qui, da dietro ed uscì, così imparai a fare le moltiplicazioni da solo.
Tutte le conoscenze ti venivano da ciò che ti raccontavano i più grandi e da quello che sapevi vedere quando osservavi ciò che il mondo mostra.
E sempre parlando con mio zio questo mi raccontava parlando di api. Ascoltatelo.

Zi: noi le avevamo le api, le avevamo qui sopra, sopra il terrazzo, che poi gli facevano tutte le lenzuola gialle.
Gi: perché?
Zi: quelli non raccolgono quella polvere che c’è dentro i fiori, il polline, come si chiama diversamente? Quelli la raccolgono, tu sai che la raccolgono, vero?
Gi: per mangiare, no!
ZI: no, là non mangiano i grandi, essi mangiano miele, non mangiano fiori. Quello non è per far mangiare le mamme, i grandi, le api; quello lo mettono dentro che ci sono i piccolini, affinché si nutrano.
Quindi lo raccolgono tra le zampette, facendo delle pallottoline, poi quando ritornano lì (all’alveare) lo devono nuovamente tirare piano piano e lo devono mettere lì dentro, che lì dentro ci sono le larvette. Le hai viste?
Gi: no.
Zi: no! Lì dentro ci sono le uova che fa la mamma, da lì dentro escono le larvette, che piano piano diventano grandi, e mangiano quella polvere che mettono le api. Lì non è la madre che comanda, comanda la famiglia. Non è la madre che fa quelle diverse (tante) cose, che lì si devono fare tante cose.
Quando devono fare (predisporre per) la mamma devono fare già il buco diverso, la cella. Devono fare una cosa, uno spuntone così lungo, che sta da parte, in una estremità, oppure alcune volte lo fanno nel mezzo, nel pettine. La fanno però sempre più grande, perché là la madre è sempre più grande, è più lunga. E lì dentro non mettono polvere. Non è che la mamma nasce mamma perché ha fatto l’uovo di mamma, nasce mamma con ciò che mettono i figli, quelle, operaie si chiamano, ma figlie di quella sono. Lì dentro non mettono polvere, mettono ciò che si chiama pappa reale.
Quella non è che c’è dappertutto lì dentro, la mettono soltanto dentro quei buchi grandi dove devono nascere le regine.
Quella soltanto è pappa reale, la dove nascono quelli che devono lavorare mettono quella polvere che si trova nei fiori.
Qualche volta nascono tutti maschi, che non sono i fuchi. Allora lì la famiglia viene (va) in fallimento. Quelli o si ammazzano o muoiono lentamente, perché non c’è nessuno che lavori. Quelli non lavorano, non vanno a trovare da mangiare, a fare provviste, stanno sempre a darsi botte, per ammazzarsi. Ma sono poche le volte che succede questa cosa. Gli altri invece escono dagli alveari, fanno il miele, fanno la cera, fanno tutte le cose che occorrono. Raccolgono quel succo di fiore che poi diventa miele. Non è che lo cagano dal sedere, lo rigurgitano nuovamente dalla bocca. Hanno una cosa qui sotto e la riempiono di quel liquido che poi dopo giorni matura e diventa miele. Quello tu non lo vedi quando lo trasportano, perché lo tengono nell’interno, come i piccioni, come gli uccelli che lo tengono qui vicino, poi lo rigurgitano di nuovo e lo mettono dentro i buchi.
Gi: allora abbiamo..
Zi: quello dei piedi è quello che mettono da mangiare a quei vermicelli che poi diventeranno api, il succo di fiori che poi diventa miele e la pappa reale che io adesso non so da dove lo raccolgano, come fanno a trovarlo, vedi che è una cosa come latte che mettono nella cella, lì dove deve nascere la regina.
Gi: e le lenzuola?
Zi: le robe poi dovevamo toglierle, perché quando faceva vento venivano stanchi, specialmente che stavano sopra, si appoggiavano lì e facevano tutta la biancheria gialla, perché avevano quei piedi pieni di fiori (polline) e la sporcavano no!
Gi: come fai a sapere queste cose?
Zi: io non è che ho appreso queste cose perché me le abbiano dette, ma come ho appreso tante cose da solo, ho imparato anche ciò che fanno le api.
Una volta che non esisteva niente, né giornali, né televisione, né libri, né internet, quanto valeva il sapere della persone anziane, quanto era bello e dolce il racconto del nonno. Adesso tutto questo non serve più a niente. L’intelligenza, i saperi delle persone di fronte ad internet, di fronte alla televisione si perdono, non servono. Dietro non si può tornare, è da stupido pensare questo, ma dimenticare che sei, da dove vieni, chiudere col passato, recidere le radici, vendere l’identità al dio della modernità neanche è cosa buona.
Che non si rompa mai la macchina!

Giuseppe De Pascalis

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