(to calò cai)
Uno ti passa davanti e ti dice: “Buongiorno” e tu gli rispondi: “Buongiorno”. Questo è un bel fare. E questo è il buon fare delle nostre genti.
Uno del vicinato fa il pane fresco (morbido) e ti porta una “ruvana” e un pane impastato con pomodori, zucchina, olive nere e peperoncino. Questo è il buon fare!
Il primo giorno del mese d’ottobre sulla strada che porta a Calimera, vicino alle scuole, vicino al venditore (distributore) di benzina, c'erano un ragazzino di dodici anni ed un camion di quelli piccoli; aspettavano entrambi che il semaforo diventasse verde, poiché era rosso. Il ragazzino, che si chiamava Salvatore, andava con la bicicletta, quando uscì il verde fece per partire e cadde sotto le ruote del camion, che partendo lo ammazzò. Questo non è un bel morire!
La morte quando arriva, anche se hai vissuto cento anni, non è mai cosa buona, ma per un ragazzino di dodici anni, che ha la vita davanti, è cosa peggiore.
La gente è spaventata a vedere quel ragazzino morto in mezzo alla strada; il sangue che usciva e andava in mezzo alla terra come quando hanno crocefisso il nostro Signore. Questa non è affatto cosa buona.
Il giovane Stefano lo portarono ammanettato i carabinieri, poi lo hanno rilasciato perché lui non lo aveva proprio visto il ragazzino.
Adesso Salvatore è morto! E Stefano sta sul fuoco: questa è cosa buona?
Tutta la gente di Martano è amareggiata per questa cosa poco buona. L’indomani i bambini che andavano insieme a scuola con Salvatore andarono tutti a messa ed al corteo vestiti di bianco; le ragazze, con la coroncina nei capelli, andavano con i cestini pieni di fiori e tutti piangevano Totò morto: questo è il buono della gente di Martano.
Tutti piangono tutta quella gente che muore sulle strade, come Giovanni Martina di Lequile, che possedeva il negozio “detershop”: andò a morire con la sua automobile
Ma questo è un altro morire. Sembra che il primo di questo mese non ci abbia portato cose buone.
Giovanni Martina era un bravo ragazzo per noi della “Spitta”, perché quando andavano per farci dare qualcosina per il giornale non ci diceva mai di no. Aveva sempre il sorriso sulla bocca. Il Cristo abbia misericordia per la sua anima. Questo è un buon fare.
Che stiate bene tutti. Queste sono giornate che sarebbe meglio che non venissero mai per tutta la gente.
Adesso vi ho stancato.
Sono sempre io con la grazia di Dio: Leonardo Antonio Giannuzzi di Martano.
Buona sorte a tutte le persone.
Leonardo Antonio Giannuzzi
lunedì 5 aprile 2010
sabato 3 aprile 2010
Lettera alla redazione
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un lettore a proposito dei temi trattati dall'articolo del prof. Salvatore Sicuro apparso sul numero 8.
Spett.le Redazione,
premetto di non conoscere i dialetti greci dell’Italia Meridionale e che le radici della mia famiglia non hanno mai avuto alcun legame con ceppi dell’Italia del Sud.
Il mio interesse per i dialetti greci della Calabria e del Salento nasce dal fascino che il greco antico da sempre esercita sulla mia sensibilità fin dai lontani anni del ginnasio. In particolare, non essendo mai stato convinto circa la validità della pronuncia “scolastica” del greco antico, da qualche tempo mi sto dedicando al problema della pronuncia. Di qui, il mio accostamento ai dialetti greci dell’Italia Meridionale, dacché con ogni evidenza derivano direttamente dalle parlate delle colonie greche fondate alcuni secoli prima di Cristo. Infatti, chi contesta detta derivazione antica, chiamando in causa l’espansionismo bizantino, o si rifiuta di rilevare l’evidenza o non possiede la preparazione necessaria per comprenderla. Mi trovo, pertanto, completamente d’accordo con il glottologo Gerhard Rohls, il quale, oltre a non avere alcun motivo personale per essere parziale, è stato di gran lunga il maggior studioso dei dialetti greco-italici ed ha contribuito ad una loro conoscenza meno approssimativa come nessun altro. Gerhard Rohlfs, diversamente da molti suoi colleghi, piuttosto che fantasticare e farneticare su una lingua che non è mai esistita, né mai venne parlata, come l’indoeuropeo, preferì immergersi in realtà linguistiche vere, non temendone lo studio continuo, indefesso e guidato da una sensibilità ed un’intelligenza superiori.
Tutto ciò premesso, vorrei fare alcune considerazioni a proposito della sorprendente lettera del prof. Salvatore Sicuro, rinunciando in questa sede ad argomentare su tutti i problemi ch’egli lascia affiorare, per limitarmi solo ad alcuni aspetti. In breve, il prof. Sicuro sembra voler semplificare il problema di una qualsivoglia lingua al numero dei vocaboli.
E, quanto al numero dei vocaboli, mi chiedo donde egli abbia tratto il numero di 170.000, quale patrimonio lessicale del greco moderno o neogreco. Pare opportuno precisare che in greco antico i verbi, escluse le forme derivate e dialettali, sono poco meno di 30.000, mentre i sostantivi e gli aggettivi, sempre escluse le forme derivate e dialettali, ammontano a poco più di 100.000, per un totale di circa 130.000 (un patrimonio lessicale tra i più estesi). Il numero dei lemmi di un buon dizionario di greco moderno, quindi comprensivo delle forme derivate e dialettali, dei vocaboli mutuati dal turco e di quelli non appartenenti al greco antico, non supera il numero di 70.000, di cui oltre i due terzi derivano dal lessico greco antico (infatti un vocabolo moderno come τηλέφωνο è in realtà un composto di due vocaboli antichi). Se poi si considera che solo le persone colte riescono ad utilizzarne fino a 20.000 e che la grande massa non ne impiega più di 8000, il numero citato dal prof. Sicuro lascia per lo meno perplessi.
Ma, accantonato il numero dei vocaboli, va sottolineato che una lingua non è solo il numero dei vocaboli, che in realtà è il dato meno caratterizzante. Ciò che differenzia una lingua da un’altra, ciò che costituisce l’unica vera difficoltà per chi non la conosce, non è dato dal numero di vocaboli ma dalla struttura morfologica e sintattica e dalla cosiddetta sintassi stilistica, in altre parole dal modo di formulare il pensiero. Basterà un semplicissimo esempio per chiarire il concetto: se per tradurre in inglese la semplice domanda “quanti anni hai?”, sostituisco i vocaboli italiani con i corrispondenti inglesi, ottengo “how many years have?”, che risulterà assolutamente incomprensibile a qualsiasi anglofono!
Per i greci già ventenni negli anni Settanta, di media istruzione, un passo di Platone risultava incomprensibile; tuttavia, molti dei vocaboli erano noti. Era come se avessero a disposizione una Rolls-Royce smontata, ossia un lessico tra i più ricchi, che però non erano in grado di assemblare. (I ventenni greci di oggi si trovano, dopo lo scempio dell’ortografia e la messa al bando della καθαρεύσα in una condizione assai peggiore.) Personalmente, preferisco chi, avendo a disposizione una semplice Fiat 500, sappia riassemblarla e fare così molta più strada…
Non dico che l’apprendimento del greco moderno debba essere stigmatizzato; dico piuttosto che può costituire solo un termine di confronto affinché vengano evidenziate le differenze. I dialetti greco-italici possiedono tratti caratteristici che il greco moderno non ha più da secoli, come ad es. la vitalità del modo infinito. Avvisi in luoghi pubblici quali ἀπαγορεύεται καπνίζειν, oggi forse non più leggibili, erano in realtà paragonabili all’esposizione di una mummia.
Il prof. Sicuro cita la voce ἀρτοπωλεῖο quale degna alternativa a ‘furno’. Ma che cos’ha che non va φοῦρνο? Anche in Grecia, parlando, si usa φοῦρνο, ψωμάδικο, non certo ἀρτοπωλεῖο, leggibile forse ancora su qualche insegna. (In ogni caso in greco antico si direbbe ἀρτοπώλιον). Ad esempio, in Grecia ‘armadio’ si dice ντουλάπα, un orrendo vocabolo turco che, tuttavia, il corrispondente greco ἱματιοθήκη non è riuscito a soppiantare. Quanto ad ‘auguri’ e ad ‘augurare’ non mi risulta che in neogreco esistano voci propriamente equivalenti, bensì espressioni più o meno corrispondenti, ma non equiparabili, a seconda delle occasioni.
Di contro, questo povero, miserevole vocabolario di soli 6000 vocaboli, contiene tra le altre una voce, ἀσκλούνι, la quale, comparata ad un passaggio di Aristotele che cita Omero, ha permesso di sollevare un velo sul vero significato di χλούνης, già perduto nell’antichità (cf. P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, nouvelle éd., Paris 1999, p. 1264, s.v.). Forse per il prof. Sicuro si tratterà di una quisquilia; per me, invece, è la testimonianza di un tesoro da scoprire. Occorrerebbe sensibilizzare in primo luogo gli studenti calabresi e pugliesi del liceo classico affinché si sentano spronati ed invogliati a cercare le proprie radici che non appartengono a nessun altro, se non a loro; metterle a confronto con il greco scolastico (?!); parlare nel loro dialetto con gli anziani ancora residenti nei paesini meno raggiungibili; un po’ come si fa quando si va ad un mercatino dell’antiquariato: sono soprattutto pieni di patacche, ma qualche volte si trovano oggetti unici, nel nostro caso vocaboli, espressioni non ancora registrate…
Nessun albero fruttifica senza radici e persino un albero abbattuto può rinascere dalle sue radici; lo stesso vale per l’uomo e la sua cultura, che non è la scuola, ma l’ambiente naturale dov’è nato, i suoi antenati, la sua lingua, le sue tradizioni. Si è mai visto un albero che si distrugge da sé le sue radici?
Scusate se mi sono dilungato un po’. Mi fermo qui, altrimenti mi ritrovo a pagina 100 da solo…!?!?!
Complimenti per la immediata, garbata ma ferma risposta al prof. Sicuro.
Con i migliori beneauguranti saluti,
Franco L. Viero
Dorno, 29 ottobre 2009
Spett.le Redazione,
premetto di non conoscere i dialetti greci dell’Italia Meridionale e che le radici della mia famiglia non hanno mai avuto alcun legame con ceppi dell’Italia del Sud.
Il mio interesse per i dialetti greci della Calabria e del Salento nasce dal fascino che il greco antico da sempre esercita sulla mia sensibilità fin dai lontani anni del ginnasio. In particolare, non essendo mai stato convinto circa la validità della pronuncia “scolastica” del greco antico, da qualche tempo mi sto dedicando al problema della pronuncia. Di qui, il mio accostamento ai dialetti greci dell’Italia Meridionale, dacché con ogni evidenza derivano direttamente dalle parlate delle colonie greche fondate alcuni secoli prima di Cristo. Infatti, chi contesta detta derivazione antica, chiamando in causa l’espansionismo bizantino, o si rifiuta di rilevare l’evidenza o non possiede la preparazione necessaria per comprenderla. Mi trovo, pertanto, completamente d’accordo con il glottologo Gerhard Rohls, il quale, oltre a non avere alcun motivo personale per essere parziale, è stato di gran lunga il maggior studioso dei dialetti greco-italici ed ha contribuito ad una loro conoscenza meno approssimativa come nessun altro. Gerhard Rohlfs, diversamente da molti suoi colleghi, piuttosto che fantasticare e farneticare su una lingua che non è mai esistita, né mai venne parlata, come l’indoeuropeo, preferì immergersi in realtà linguistiche vere, non temendone lo studio continuo, indefesso e guidato da una sensibilità ed un’intelligenza superiori.
Tutto ciò premesso, vorrei fare alcune considerazioni a proposito della sorprendente lettera del prof. Salvatore Sicuro, rinunciando in questa sede ad argomentare su tutti i problemi ch’egli lascia affiorare, per limitarmi solo ad alcuni aspetti. In breve, il prof. Sicuro sembra voler semplificare il problema di una qualsivoglia lingua al numero dei vocaboli.
E, quanto al numero dei vocaboli, mi chiedo donde egli abbia tratto il numero di 170.000, quale patrimonio lessicale del greco moderno o neogreco. Pare opportuno precisare che in greco antico i verbi, escluse le forme derivate e dialettali, sono poco meno di 30.000, mentre i sostantivi e gli aggettivi, sempre escluse le forme derivate e dialettali, ammontano a poco più di 100.000, per un totale di circa 130.000 (un patrimonio lessicale tra i più estesi). Il numero dei lemmi di un buon dizionario di greco moderno, quindi comprensivo delle forme derivate e dialettali, dei vocaboli mutuati dal turco e di quelli non appartenenti al greco antico, non supera il numero di 70.000, di cui oltre i due terzi derivano dal lessico greco antico (infatti un vocabolo moderno come τηλέφωνο è in realtà un composto di due vocaboli antichi). Se poi si considera che solo le persone colte riescono ad utilizzarne fino a 20.000 e che la grande massa non ne impiega più di 8000, il numero citato dal prof. Sicuro lascia per lo meno perplessi.
Ma, accantonato il numero dei vocaboli, va sottolineato che una lingua non è solo il numero dei vocaboli, che in realtà è il dato meno caratterizzante. Ciò che differenzia una lingua da un’altra, ciò che costituisce l’unica vera difficoltà per chi non la conosce, non è dato dal numero di vocaboli ma dalla struttura morfologica e sintattica e dalla cosiddetta sintassi stilistica, in altre parole dal modo di formulare il pensiero. Basterà un semplicissimo esempio per chiarire il concetto: se per tradurre in inglese la semplice domanda “quanti anni hai?”, sostituisco i vocaboli italiani con i corrispondenti inglesi, ottengo “how many years have?”, che risulterà assolutamente incomprensibile a qualsiasi anglofono!
Per i greci già ventenni negli anni Settanta, di media istruzione, un passo di Platone risultava incomprensibile; tuttavia, molti dei vocaboli erano noti. Era come se avessero a disposizione una Rolls-Royce smontata, ossia un lessico tra i più ricchi, che però non erano in grado di assemblare. (I ventenni greci di oggi si trovano, dopo lo scempio dell’ortografia e la messa al bando della καθαρεύσα in una condizione assai peggiore.) Personalmente, preferisco chi, avendo a disposizione una semplice Fiat 500, sappia riassemblarla e fare così molta più strada…
Non dico che l’apprendimento del greco moderno debba essere stigmatizzato; dico piuttosto che può costituire solo un termine di confronto affinché vengano evidenziate le differenze. I dialetti greco-italici possiedono tratti caratteristici che il greco moderno non ha più da secoli, come ad es. la vitalità del modo infinito. Avvisi in luoghi pubblici quali ἀπαγορεύεται καπνίζειν, oggi forse non più leggibili, erano in realtà paragonabili all’esposizione di una mummia.
Il prof. Sicuro cita la voce ἀρτοπωλεῖο quale degna alternativa a ‘furno’. Ma che cos’ha che non va φοῦρνο? Anche in Grecia, parlando, si usa φοῦρνο, ψωμάδικο, non certo ἀρτοπωλεῖο, leggibile forse ancora su qualche insegna. (In ogni caso in greco antico si direbbe ἀρτοπώλιον). Ad esempio, in Grecia ‘armadio’ si dice ντουλάπα, un orrendo vocabolo turco che, tuttavia, il corrispondente greco ἱματιοθήκη non è riuscito a soppiantare. Quanto ad ‘auguri’ e ad ‘augurare’ non mi risulta che in neogreco esistano voci propriamente equivalenti, bensì espressioni più o meno corrispondenti, ma non equiparabili, a seconda delle occasioni.
Di contro, questo povero, miserevole vocabolario di soli 6000 vocaboli, contiene tra le altre una voce, ἀσκλούνι, la quale, comparata ad un passaggio di Aristotele che cita Omero, ha permesso di sollevare un velo sul vero significato di χλούνης, già perduto nell’antichità (cf. P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, nouvelle éd., Paris 1999, p. 1264, s.v.). Forse per il prof. Sicuro si tratterà di una quisquilia; per me, invece, è la testimonianza di un tesoro da scoprire. Occorrerebbe sensibilizzare in primo luogo gli studenti calabresi e pugliesi del liceo classico affinché si sentano spronati ed invogliati a cercare le proprie radici che non appartengono a nessun altro, se non a loro; metterle a confronto con il greco scolastico (?!); parlare nel loro dialetto con gli anziani ancora residenti nei paesini meno raggiungibili; un po’ come si fa quando si va ad un mercatino dell’antiquariato: sono soprattutto pieni di patacche, ma qualche volte si trovano oggetti unici, nel nostro caso vocaboli, espressioni non ancora registrate…
Nessun albero fruttifica senza radici e persino un albero abbattuto può rinascere dalle sue radici; lo stesso vale per l’uomo e la sua cultura, che non è la scuola, ma l’ambiente naturale dov’è nato, i suoi antenati, la sua lingua, le sue tradizioni. Si è mai visto un albero che si distrugge da sé le sue radici?
Scusate se mi sono dilungato un po’. Mi fermo qui, altrimenti mi ritrovo a pagina 100 da solo…!?!?!
Complimenti per la immediata, garbata ma ferma risposta al prof. Sicuro.
Con i migliori beneauguranti saluti,
Franco L. Viero
Dorno, 29 ottobre 2009
Giro e mi rigiro nel mio letto...
(Votò ce tsevotò c’es to grattài)
Giro e mi rigiro nel mio letto..
Dove sei, Dio, ch’io non ti trovai!
Ho scrutato il cielo e nelle stelle…
in mezzo ai prati e tra le viti andai;
tra le mani guardai, sotto la pelle...
e vidi solo buio dentro me.
Molto lontan da te perché t‘intenda?
Molto lontan chè mi possa tu aiutare?
Vieni vicino un po’ ch’ io ti comprenda.
Se t’ ho oltraggiato tu non mi cacciare.
Pregò mia madre che ti venissi incontro.
Ma nella nebbia, non so trovar la via:
chiedo e chiunque incontri… mi sorride.
gli occhi accecò il sole che mi vide?
Bene non t’ha cercato… l’anima mia?
Più io cerco e più solo son io!
In chiesa non portai mai dei lumini.
Per ciò che ti dirò non t’irritare:
credo ti vidi nel riso dei bambini
e nelle lacrime di chi “tira a campare”.
Paolo Di Mitri
Giro e mi rigiro nel mio letto..
Dove sei, Dio, ch’io non ti trovai!
Ho scrutato il cielo e nelle stelle…
in mezzo ai prati e tra le viti andai;
tra le mani guardai, sotto la pelle...
e vidi solo buio dentro me.
Molto lontan da te perché t‘intenda?
Molto lontan chè mi possa tu aiutare?
Vieni vicino un po’ ch’ io ti comprenda.
Se t’ ho oltraggiato tu non mi cacciare.
Pregò mia madre che ti venissi incontro.
Ma nella nebbia, non so trovar la via:
chiedo e chiunque incontri… mi sorride.
gli occhi accecò il sole che mi vide?
Bene non t’ha cercato… l’anima mia?
Più io cerco e più solo son io!
In chiesa non portai mai dei lumini.
Per ciò che ti dirò non t’irritare:
credo ti vidi nel riso dei bambini
e nelle lacrime di chi “tira a campare”.
Paolo Di Mitri
Lascialo il Domenicone
(Asto to Minecùna)
Nei racconti di Esopo, il Grande, Il Cattivo, più o meno, è colui che fa le figure e paga sempre per il suo comportamento.
I racconti voglionom essere degli insegnamenti per gli uomini. Ogni volta che li ascoltiamo o li leggiamo restiamo meravigliati per quanta verità contengono.
Sono passati migliaia di anni e ciò che però li separa dalla vita quotidiana e che nella vita di ogni giorno colui che paga e sempre il più piccolo, il più indifeso.
Il racconto che segue sembra uscire dalle favole di Esopo, ma questa cosa è successa veramente per cui chi paga è il più poveretto.
Tempo addietro un padrone mise alcuni uomini a lavoarre nel suo campo.
Costoro andavano e sarchiavano il grano e tagliavano le erbe e ogni tanto capitava anche qualche pianta di grano. Quando finirono, andarono dal padrone per essere pagati. Entro il primo es il padrone disse:
- Beh, avete sarchiato bene? L’erba l’avete tagliata?
- Si
- E le piante di grano?
- Ma, quante sono capitate, tante abbiamo tagliato!
- Allora ti tolgo due soldi!
Uscì questi e disse: Il padrone mi ha tolto due soldi perché o tagliato molte piante di grano.
Entro un altro.
- Meh, hai sarchiato bene?
- Si!
- E tagliavi molte piante di grano?
- Non ho tagliato neanche una?
- Allora tu non hai sarchiato! Niente!
Questi uscì nuovamente e disse che non gli aveva dato niente perché aveva detto che non aveva tagliato nessuna pianta. Allora se tagliava le piante di grano gli toglieva i soldi, se non le tagliava non aveva lavorato.
Minecone, udendo così, preparo un bel bastone sotto il cappotto ed entrò.
Na, na Il Minecone disse il padrone.
- Allora tu sei anfdato in campagna a sarchiare?
- Si
- Hai tagliato molte piante?
- Quante sono capitate!
- Allora tu mi porti alla rovina!
E gli tolse la giornata (non lo pagò). Beh, disse il Domenicone, adesso ti faccio vedere io se ho tagliato o non ho tagliato, se mi paghi o no la giornata. Caccio il bastone e fece fibta di colpirlo.
Allora il padrone disse: no, no tieni, tieni i soldi.
Passarono pochi giorni ed il fattore uscì per la piazza a trovare nuovamente degli uomini per sarchiare.
Hai messo gli uomini? Disse il padrone al fattore. Si, disse il fattore, ho messo pantaleo, ho messo Pasquale e ho messo anche Minecone. Lascialo il Minecone, Lascialo il minecone, disse il padrone. E non lo assunse più a lavorare a giornata.
Come ricordiamo nel dicembre 2007 la thyssen krupp, una fabbrica che lavorava il ferro, si incendiò e sette uomini morirono bruciati. La fabbrica pagò i dannì e trovò un nuovo posto di lavoro per tutti gli operai. Durante la causa però alcuni operai si costituirono parte civile. Per questi non si è trovato più un lavoro e sono stati licenziati. Lascialo il minecone!
Giuseppe De Pascalis
Nei racconti di Esopo, il Grande, Il Cattivo, più o meno, è colui che fa le figure e paga sempre per il suo comportamento.
I racconti voglionom essere degli insegnamenti per gli uomini. Ogni volta che li ascoltiamo o li leggiamo restiamo meravigliati per quanta verità contengono.
Sono passati migliaia di anni e ciò che però li separa dalla vita quotidiana e che nella vita di ogni giorno colui che paga e sempre il più piccolo, il più indifeso.
Il racconto che segue sembra uscire dalle favole di Esopo, ma questa cosa è successa veramente per cui chi paga è il più poveretto.
Tempo addietro un padrone mise alcuni uomini a lavoarre nel suo campo.
Costoro andavano e sarchiavano il grano e tagliavano le erbe e ogni tanto capitava anche qualche pianta di grano. Quando finirono, andarono dal padrone per essere pagati. Entro il primo es il padrone disse:
- Beh, avete sarchiato bene? L’erba l’avete tagliata?
- Si
- E le piante di grano?
- Ma, quante sono capitate, tante abbiamo tagliato!
- Allora ti tolgo due soldi!
Uscì questi e disse: Il padrone mi ha tolto due soldi perché o tagliato molte piante di grano.
Entro un altro.
- Meh, hai sarchiato bene?
- Si!
- E tagliavi molte piante di grano?
- Non ho tagliato neanche una?
- Allora tu non hai sarchiato! Niente!
Questi uscì nuovamente e disse che non gli aveva dato niente perché aveva detto che non aveva tagliato nessuna pianta. Allora se tagliava le piante di grano gli toglieva i soldi, se non le tagliava non aveva lavorato.
Minecone, udendo così, preparo un bel bastone sotto il cappotto ed entrò.
Na, na Il Minecone disse il padrone.
- Allora tu sei anfdato in campagna a sarchiare?
- Si
- Hai tagliato molte piante?
- Quante sono capitate!
- Allora tu mi porti alla rovina!
E gli tolse la giornata (non lo pagò). Beh, disse il Domenicone, adesso ti faccio vedere io se ho tagliato o non ho tagliato, se mi paghi o no la giornata. Caccio il bastone e fece fibta di colpirlo.
Allora il padrone disse: no, no tieni, tieni i soldi.
Passarono pochi giorni ed il fattore uscì per la piazza a trovare nuovamente degli uomini per sarchiare.
Hai messo gli uomini? Disse il padrone al fattore. Si, disse il fattore, ho messo pantaleo, ho messo Pasquale e ho messo anche Minecone. Lascialo il Minecone, Lascialo il minecone, disse il padrone. E non lo assunse più a lavorare a giornata.
Come ricordiamo nel dicembre 2007 la thyssen krupp, una fabbrica che lavorava il ferro, si incendiò e sette uomini morirono bruciati. La fabbrica pagò i dannì e trovò un nuovo posto di lavoro per tutti gli operai. Durante la causa però alcuni operai si costituirono parte civile. Per questi non si è trovato più un lavoro e sono stati licenziati. Lascialo il minecone!
Giuseppe De Pascalis
Due lingue sono meglio di una
(Diu glosse ine kajo pi' mia)
Una delle falsità a cui molti credono è che il Griko non giovi ai bambini, che perdiamo tempo ad insegnargli una lingua così poco parlata. Questo perché solo l’italiano può servire da queste parti, mentre per trovare lavoro devono imparare l’inglese invece di riempirsi la testa con parole grike che non sono di alcuna utilità.
Un martanese che avevo incontrato a Siena mi disse che si ricordava qualche canto griko che aveva imparato da bambino, ma erano come residui, “immondizia che gli occupava spazio nella testa”. Così mi ha fatto capire come a lui sembrasse giusto che il Griko scomparisse e che non venisse insegnato ai bambini.
Sappiamo ora che le cose non stanno così. Molti studiosi credono che due lingue siano utili, e l’anno scorso è uscito uno studio pubblicato in una rivista scientifica1 che ha dimostrato come i bambini nati in posti dove si parlano due lingue riescono meglio poi ad impararne altre.
Così si vede che se i genitori delle nostre parti avessero insegnato il Griko ai bambini, questi adesso sarebbero più capaci di imparare l’inglese. Si è dimostrato come le parole grike imparate non sono affatto scorie che occupano spazio nella nostra testa ma possono giovare anche per entrare in un mondo che non parla né griko né italiano e dove conviene imparare l’inglese e tante altre lingue.
Francesco Penza
1Kovács AM, Mehler J
Flexible learning of multiple speech structures in bilingual infants.
Science. 2009;325(5940):611-2
Una delle falsità a cui molti credono è che il Griko non giovi ai bambini, che perdiamo tempo ad insegnargli una lingua così poco parlata. Questo perché solo l’italiano può servire da queste parti, mentre per trovare lavoro devono imparare l’inglese invece di riempirsi la testa con parole grike che non sono di alcuna utilità.
Un martanese che avevo incontrato a Siena mi disse che si ricordava qualche canto griko che aveva imparato da bambino, ma erano come residui, “immondizia che gli occupava spazio nella testa”. Così mi ha fatto capire come a lui sembrasse giusto che il Griko scomparisse e che non venisse insegnato ai bambini.
Sappiamo ora che le cose non stanno così. Molti studiosi credono che due lingue siano utili, e l’anno scorso è uscito uno studio pubblicato in una rivista scientifica1 che ha dimostrato come i bambini nati in posti dove si parlano due lingue riescono meglio poi ad impararne altre.
Così si vede che se i genitori delle nostre parti avessero insegnato il Griko ai bambini, questi adesso sarebbero più capaci di imparare l’inglese. Si è dimostrato come le parole grike imparate non sono affatto scorie che occupano spazio nella nostra testa ma possono giovare anche per entrare in un mondo che non parla né griko né italiano e dove conviene imparare l’inglese e tante altre lingue.
Francesco Penza
1Kovács AM, Mehler J
Flexible learning of multiple speech structures in bilingual infants.
Science. 2009;325(5940):611-2
domenica 16 agosto 2009
I frutti rossi dell'estate (Ta rotinà kalocernà)
Ogni tanto sentiamo alla televisione che per stare meglio sarebbe bene fare attenzione a quello che mangiamo, e questo certamente è vero.
Una delle cose più risentite è che ogni frutto colorato di rosso ci fa bene. Questo perché i frutti rossi contengono certe molecole che si chiamano “carotenoidi”, “polifenoli”,“flavonoidi” e altre. Molti scienziati credono che queste facciano bene perché proteggono il nostro organismo dal danno causato dallo stress ossidativo, che è alla base di molte malattie come l’aterosclerosi, il cancro, il diabete e anche lo stesso invecchiamento.
Dobbiamo dire che questo è stato dimostrato in laboratorio, ancora sono poche le prove fatte “in vivo” (sulle persone).
L’estate riempie di rosso i campi e i pochi boschi rimasti nelle nostre terre, vediamo dunque cosa possiamo mangiare per stare bene.
Forse fra i frutti rossi i più famosi sono le ciliegie, le fragole e i frutti di bosco come le more di rovo. Fra queste la fragola è quella che è più ricca di molecole che possono proteggere dal cancro e mantenere aperte le arterie dove scorre il sangue.
Peccato che oggi quelle che si vendono sono spesso anche piene di veleni che mettono per farle crescere. Meglio mangiare quelle che vengono dall’agricoltura biologica o addirittura coltivarle noi stessi.
Bel colore hanno anche i pomodori ed i meloni, anche i cocomeri (meloni saraceni). Questi sono ricchi di “licopene”, un’altra molecola che protegge dallo stress ossidativo e che viene assorbita bene dal nostro intestino, meglio se viene cotto il frutto (come succede con la salsa di pomodoro). È uscito uno studio scientifico che ha dimostrato come il licopene possa proteggere dal cancro della prostata.
Giovamento può venire anche dai peperoni, quelli piccanti contengono “capsaicina”, che dicono possa aiutare a bruciare i grassi. Sembra anche che possa essere di aiuto nella terapia del dolore come quello del fuoco di Sant’Antonio.
E dopo l’estate? Alcuni colori restano anche d’inverno: le arance, le mele fanno molto bene, e poi bisogna ricordare che anche le verdure che non sono colorate fanno bene: sappiamo che i cavoli proteggono dal cancro.Infine non dimenticate che non basta mangiare rosso, chi fuma perde tutti i vantaggi che gli possono venire dai frutti rossi!
Francesco Penza
Una delle cose più risentite è che ogni frutto colorato di rosso ci fa bene. Questo perché i frutti rossi contengono certe molecole che si chiamano “carotenoidi”, “polifenoli”,“flavonoidi” e altre. Molti scienziati credono che queste facciano bene perché proteggono il nostro organismo dal danno causato dallo stress ossidativo, che è alla base di molte malattie come l’aterosclerosi, il cancro, il diabete e anche lo stesso invecchiamento.
Dobbiamo dire che questo è stato dimostrato in laboratorio, ancora sono poche le prove fatte “in vivo” (sulle persone).
L’estate riempie di rosso i campi e i pochi boschi rimasti nelle nostre terre, vediamo dunque cosa possiamo mangiare per stare bene.
Forse fra i frutti rossi i più famosi sono le ciliegie, le fragole e i frutti di bosco come le more di rovo. Fra queste la fragola è quella che è più ricca di molecole che possono proteggere dal cancro e mantenere aperte le arterie dove scorre il sangue.
Peccato che oggi quelle che si vendono sono spesso anche piene di veleni che mettono per farle crescere. Meglio mangiare quelle che vengono dall’agricoltura biologica o addirittura coltivarle noi stessi.
Bel colore hanno anche i pomodori ed i meloni, anche i cocomeri (meloni saraceni). Questi sono ricchi di “licopene”, un’altra molecola che protegge dallo stress ossidativo e che viene assorbita bene dal nostro intestino, meglio se viene cotto il frutto (come succede con la salsa di pomodoro). È uscito uno studio scientifico che ha dimostrato come il licopene possa proteggere dal cancro della prostata.
Giovamento può venire anche dai peperoni, quelli piccanti contengono “capsaicina”, che dicono possa aiutare a bruciare i grassi. Sembra anche che possa essere di aiuto nella terapia del dolore come quello del fuoco di Sant’Antonio.
E dopo l’estate? Alcuni colori restano anche d’inverno: le arance, le mele fanno molto bene, e poi bisogna ricordare che anche le verdure che non sono colorate fanno bene: sappiamo che i cavoli proteggono dal cancro.Infine non dimenticate che non basta mangiare rosso, chi fuma perde tutti i vantaggi che gli possono venire dai frutti rossi!
Francesco Penza
venerdì 14 agosto 2009
Macinato Grosso (Xrondò alemmèno)
C’era un volta sotto (verso) Borgagne una famiglia che abitava in una masseria denominata “I Santi”. Questa famiglia proveniva da Martano ed erano molti anni che risiedeva in quella masseria.
In quei tempi malte famiglie andavano nelle masserie per aiutare i massari. Restavano lì tutta l’estate: raccoglievano i cereali e tutte le provviste. Allorché cominciava ottobre si ritiravano nel loro paese.
Uno di questi prestatori d’opera aveva un figlio che era un poco tonto e si era innamorato della figlia del massaro. E con la scusa di aiutare nella masseria andava sempre in casa di lei. La madre di lui si era accorta di questo fatto. Una volta quest'ultima aveva fatto del pane in casa e per tenere buona la massaia chiamò il figlio e gli disse: Porta questo pane alla massaia e quando entri dì “buongiorno”. Suo padre, che era nelle vicinanze, sentì il discorso e volendo anche lui far parte della faccenda gli disse: e dì “il pane te lo manda mio padre”.
Il Giovanotto si recò nella masseria e trovo la massaia che tesseva al telaio, entrò e le disse: buongiorno,il pezzo di pane te lo manda mio padre.
La figlia della massaia lo guardò negli occhi e disse: quanto è grossolano (stupido)!
Il giovanotto sentendo così, rispose: l’asina non ne poteva più (a girare la macina) ed è venuto macinato grosso. “come sei lungo, come sei lungo! (stupido) gli disse la giovincella. “che proprio questa mattina ho indossato i pantaloni di mio padre”.
Questa è una delle tante che sappiamo, come quella delle tre belle figliuole, una più bella dalle altre,
ma questo è un altro racconto,
Saluti da Leonardo Antonio Giannuzzi da Martano
In quei tempi malte famiglie andavano nelle masserie per aiutare i massari. Restavano lì tutta l’estate: raccoglievano i cereali e tutte le provviste. Allorché cominciava ottobre si ritiravano nel loro paese.
Uno di questi prestatori d’opera aveva un figlio che era un poco tonto e si era innamorato della figlia del massaro. E con la scusa di aiutare nella masseria andava sempre in casa di lei. La madre di lui si era accorta di questo fatto. Una volta quest'ultima aveva fatto del pane in casa e per tenere buona la massaia chiamò il figlio e gli disse: Porta questo pane alla massaia e quando entri dì “buongiorno”. Suo padre, che era nelle vicinanze, sentì il discorso e volendo anche lui far parte della faccenda gli disse: e dì “il pane te lo manda mio padre”.
Il Giovanotto si recò nella masseria e trovo la massaia che tesseva al telaio, entrò e le disse: buongiorno,il pezzo di pane te lo manda mio padre.
La figlia della massaia lo guardò negli occhi e disse: quanto è grossolano (stupido)!
Il giovanotto sentendo così, rispose: l’asina non ne poteva più (a girare la macina) ed è venuto macinato grosso. “come sei lungo, come sei lungo! (stupido) gli disse la giovincella. “che proprio questa mattina ho indossato i pantaloni di mio padre”.
Questa è una delle tante che sappiamo, come quella delle tre belle figliuole, una più bella dalle altre,
ma questo è un altro racconto,
Saluti da Leonardo Antonio Giannuzzi da Martano
Il nuovo museo dell'Acropoli
L'Acropoli di Atene ha subito diverse distruzioni e predazioni di sculture che si trovano oggi nei più grandi musei del mondo come il British Museum di Londra e il Louvre di Parigi.
Le sculture che sono rimaste erano stivate da molti anni in un museo allestito sulla roccia dell' Acropoli e non erano esposte. Si è pertanto deciso di costruire un nuovo museo di fronte all'Acropoli ed esporci gli antichi tesori.
Il nuovo museo dell'Acropoli occupa complessivamente 23.000 mq con 14.000 mq di superficie espositiva. È stato progettato dall'equipe di Bernard Tschumi di New York e di Michalis Fotiadis di Atene con la collaborazione di sessanta gruppi di consiglieri speciali e ingegneri in modo che risulti antisismico, confortevole con buon isolamento termico e acustico.
Per esempio, la grande sala di vetro del Partenone con vista diretta sulla Roccia Santa e sul tempio di Atena, è in realtà un "camino di vetro" che filtra le radiazioni nocive e sfrutta la luce naturale. Ha inoltre una funzione isolante e climatizzante. Con una temperatura esterna di 40 °C la sala si trova a 24 °C.
Questa non è l'unica novità del nuovo museo che sfrutta la tecnologia moderna. È stato progettato in modo che una famiglia possa trascorrerci una giornata, e che le persone di ogni età siano soddisfatte. Così, oltre le sale espositive, sono presenti due snack bar, un negozio di regali, un ristorante, un anfiteatro e una sala per le mostre temporanee.
I solai sono di vetro e sono usati in modo da ottenere una continuità ottica dalla sala del Partenone in alto fino agli scavi di 2.500 mq nel sottosuolo. Hanno 5cm di spessore e combinano resistenza, antiscivolamento e isolamento termico. La progettazione antisismica permette al museo di resistere ad un sisma di 10 gradi sulla scala Richter. Le 92 colonne di sostegno poggiano su altrettante "basi a pendolo rovesciato" cioè su due costruzioni metalliche di 1,2 m di diametro che sembrano due piatti concavi con superfici ben levigate per assicurare il minimo di attrito. In caso di terremoto, lo slittamento si effettua tra questi due piatti che, vista la loro forma, riprendono la loro posizione dopo la scossa. Ogni base è stata progettata separatamente perché ogni colonna presenta momenti statici e compressioni differenti. Sono state costruite in Germania e verificate in America.
Il guscio della sala del Partenone è autoportante, strutturato senza telaio e senza riflessi. È costruito in vetro con bassi tassi di ferro in modo da non presentare colorazione verde e che la luce entri nitida permettendo una vista chiara verso l'esterno e specialmente verso l'Acropoli.
Il camino di vetro della sala del Partenone è composto da due pareti distante di 0,7 m tra di loro. Sul guscio esterno si trovano alcune macchie serigrafiche, per aumentare l'ombreggiatura e diminuire l'appannamento; c'è anche uno strato ad alto rendimento che protegge dalle radiazioni infrarosse. Il guscio interno pende a 2,5 m dal pavimento. Alla base della vetrata si forma una panchina perimetrica che fa anche da condotto di climatizzazione da dove fuoriesce aria gelida. L'aria, salendo tra le due "pareti" di vetro verso l'apertura del contro-soffitto e degli apparecchi di condizionamento, si scalda naturalmente.
Per diminuire gli echi che stancano i visitatori, specialmente lungo la grande rampa della salita pedonale di 12 m di altezza, l'assorbente acustico è posizionato dietro le pareti verticali di cemento precompresso forato in modo che la voce, di una guida per esempio, non provochi eco e che risulti netta.
Questa è solo una semplice descrizione della costruzione del nuovo museo dell'Acropoli costruito realmente secondo una tecnologia innovativa. Si trovano esposte lì tutte le antichità trovate sull'Acropoli. Siate i benvenuti per vederlo da vicino e ammirare le realizzazioni dei nostri antichi antenati e sentirvene orgogliosi.
Iannis Papadimitriou
Le sculture che sono rimaste erano stivate da molti anni in un museo allestito sulla roccia dell' Acropoli e non erano esposte. Si è pertanto deciso di costruire un nuovo museo di fronte all'Acropoli ed esporci gli antichi tesori.
Il nuovo museo dell'Acropoli occupa complessivamente 23.000 mq con 14.000 mq di superficie espositiva. È stato progettato dall'equipe di Bernard Tschumi di New York e di Michalis Fotiadis di Atene con la collaborazione di sessanta gruppi di consiglieri speciali e ingegneri in modo che risulti antisismico, confortevole con buon isolamento termico e acustico.
Per esempio, la grande sala di vetro del Partenone con vista diretta sulla Roccia Santa e sul tempio di Atena, è in realtà un "camino di vetro" che filtra le radiazioni nocive e sfrutta la luce naturale. Ha inoltre una funzione isolante e climatizzante. Con una temperatura esterna di 40 °C la sala si trova a 24 °C.
Questa non è l'unica novità del nuovo museo che sfrutta la tecnologia moderna. È stato progettato in modo che una famiglia possa trascorrerci una giornata, e che le persone di ogni età siano soddisfatte. Così, oltre le sale espositive, sono presenti due snack bar, un negozio di regali, un ristorante, un anfiteatro e una sala per le mostre temporanee.
I solai sono di vetro e sono usati in modo da ottenere una continuità ottica dalla sala del Partenone in alto fino agli scavi di 2.500 mq nel sottosuolo. Hanno 5cm di spessore e combinano resistenza, antiscivolamento e isolamento termico. La progettazione antisismica permette al museo di resistere ad un sisma di 10 gradi sulla scala Richter. Le 92 colonne di sostegno poggiano su altrettante "basi a pendolo rovesciato" cioè su due costruzioni metalliche di 1,2 m di diametro che sembrano due piatti concavi con superfici ben levigate per assicurare il minimo di attrito. In caso di terremoto, lo slittamento si effettua tra questi due piatti che, vista la loro forma, riprendono la loro posizione dopo la scossa. Ogni base è stata progettata separatamente perché ogni colonna presenta momenti statici e compressioni differenti. Sono state costruite in Germania e verificate in America.
Il guscio della sala del Partenone è autoportante, strutturato senza telaio e senza riflessi. È costruito in vetro con bassi tassi di ferro in modo da non presentare colorazione verde e che la luce entri nitida permettendo una vista chiara verso l'esterno e specialmente verso l'Acropoli.
Il camino di vetro della sala del Partenone è composto da due pareti distante di 0,7 m tra di loro. Sul guscio esterno si trovano alcune macchie serigrafiche, per aumentare l'ombreggiatura e diminuire l'appannamento; c'è anche uno strato ad alto rendimento che protegge dalle radiazioni infrarosse. Il guscio interno pende a 2,5 m dal pavimento. Alla base della vetrata si forma una panchina perimetrica che fa anche da condotto di climatizzazione da dove fuoriesce aria gelida. L'aria, salendo tra le due "pareti" di vetro verso l'apertura del contro-soffitto e degli apparecchi di condizionamento, si scalda naturalmente.
Per diminuire gli echi che stancano i visitatori, specialmente lungo la grande rampa della salita pedonale di 12 m di altezza, l'assorbente acustico è posizionato dietro le pareti verticali di cemento precompresso forato in modo che la voce, di una guida per esempio, non provochi eco e che risulti netta.
Questa è solo una semplice descrizione della costruzione del nuovo museo dell'Acropoli costruito realmente secondo una tecnologia innovativa. Si trovano esposte lì tutte le antichità trovate sull'Acropoli. Siate i benvenuti per vederlo da vicino e ammirare le realizzazioni dei nostri antichi antenati e sentirvene orgogliosi.
Iannis Papadimitriou
Mi è venuta voglia di sentire... parole griche
Mi presento come una giovane studentessa di 24 anni.
Un giorno ho ricevuto una copia di questa rivista e l’ho letta con tanto interesse. Mi è piaciuta molto perché parla di tutto, ma soprattutto mi è piaciuta l’idea di raccontare brevi storie riguardanti tutto ciò che una volta erano le tradizioni del nostro paese, del nostro territorio. In fondo il griko non deve essere visto come una lingua solamente parlata, ma anche come una tradizione molto antica.Il mio primo contatto con il griko nasce praticamente dal mio primo anno di vita. Le mie prime parole pronunziate furono nanni e nanna. È da qui che è nato il mio cammino verso un mare immenso di termini e parole che mi ha permesso di conoscere questa lingua. È iniziato tutto come un gioco, ero una bambina molto loquace e amavo ripetere qualsiasi cosa mi dicessero.
Sono stati proprio i miei nonni a trasmettermi l’amore per questa lingua, tanto che questo amore mi ha portato a diplomarmi persino in greco moderno.
Tempo fa ho deciso di fare una passeggiata per le vie di Martano dove ero solita percorrere da piccola, a braccetto con mio nonno, il quale conosceva praticamente tutti gli anziani che parlavano griko. Ho sentito quest’esigenza perché ero curiosa di sapere se a distanza di anni ci fosse ancora nell’aria qualche parola di griko trasportata nel paese dal vento. Le mie speranze erano ben poche perché molti anziani purtroppo sono venuti a mancare e molti di loro magari stanno poco bene. Ma decisa ho intrapreso il mio “viaggio”. Con stupore e con immensa gioia da lontano sono riuscita a sentire parole grike. Mi sono permessa di avvicinarmi per salutarli e parlare un pochino con loro. A distanza di anni sono rimasti senza parole a sentire parlare “questa lingua” da una ragazza giovane. In effetti, l’ultima volta parlavo il griko come una bimba che aveva paura di relazionarsi es esprimersi in questa lingua. Questa cosa da un lato mi ha fatto sorridere, dall’altro mi ha fatto pensare al fatto che sono pochi a sapere parlare così perfettamente il griko come gli anziani. Loro mi hanno pregata e mi hanno detto: “Porta avanti il griko, noi siamo vecchi e le forze non le abbiamo più, non ce la facciamo, ma ci piacerebbe che la nostra cultura ed il nostro sudore di un duro lavoro effettuato potesse andare avanti e rivivere giorno per giorno”.
Ci sono stati già veri articoli sull’importanza di portare avanti il griko, lo so, infatti spero di non annoiarvi ma semplicemente di proporre una mia idea, che magari può essere sbagliata, ma ci voglio provare.
Sono persone molto grandi di età che conoscono solo le mura di casa loro ormai, sono orgogliose di sapere parlare il griko, ma si sentono indifese perché ritengono che la società di oggi non conosca più l’amore di una volta e i valori della famiglia. Molti di loro mi hanno raccontato che hanno sacrificato la loro vita per i figli, ma che per forza di cose sono rimasti soli o sono abbandonati a loro stessi senza affetti al loro fianco. Delle volte si sentono un peso per la società e per la famiglia. È proprio questo che mi ha spinto a scegliere di pubblicare questo articolo, ripetendomi nel trattare l’argomento.
Se noi li ringraziassimo? Perché è anche grazie a loro che noi ora viviamo in una società così modernizzata e che abbiamo imparato a vivere.
Molti genitori di oggi ritengono che imparare un’altra lingua come il griko sia uno stress inutile per il proprio figlio. E se invece vedeste il griko non come una lingua inutile e vecchia ma come una cultura che possa aiutare a far unire tanti bambini? Magari proprio insegnando il griko con attività ludiche?
È quello che ho percepito negli occhi di queste persone che nella vita hanno sofferto e fatto sacrifici per noi. Non credo che il griko insegnato in maniera divertente possa rovinare i più piccoli o i ragazzi. È una lingua che ci appartiene e che hanno creato i nostri bisnonni e trisavoli. Servirebbe soprattutto per i bimbi che hanno difficoltà a relazionarsi con altri ed esprimere meglio le sensazioni e la loro voglia di stare in compagnia. E chissà, magari un motivo per voi genitori e nonni per avere un’oretta in più da dedicare a voi stessi sapendo che i vostri figli e nipoti stanno unendo l’utile al dilettevole.
Vi andrebbe di tendere una mano a quelle persone che ci sono con la testa, ma che non sono in grado di agire di persona, pur avendo la voglia di sentirsi rivivere in noi giovani?
La gioventù va incoraggiata e aiutata, dandoci una mano riusciremmo insieme a fare qualcosa di bellissimo per il futuro mandando avanti una cultura così importante, sempre ricordandoci che sono stati proprio i più piccoli cittadini a farlo.
Colgo l’occasione di dedicare tutto questo a mio nonno ringraziandolo per tutti i valori che mi ha trasmesso dicendogli che sarà sempre nel mio cuore pur essendo molto lontano. Ringrazio anche mia nonna e i miei genitori per avermi insegnato la vita e la tradizione del mio paese pur essendo sempre vissuta all’estero.
Doriana Turi
Un giorno ho ricevuto una copia di questa rivista e l’ho letta con tanto interesse. Mi è piaciuta molto perché parla di tutto, ma soprattutto mi è piaciuta l’idea di raccontare brevi storie riguardanti tutto ciò che una volta erano le tradizioni del nostro paese, del nostro territorio. In fondo il griko non deve essere visto come una lingua solamente parlata, ma anche come una tradizione molto antica.Il mio primo contatto con il griko nasce praticamente dal mio primo anno di vita. Le mie prime parole pronunziate furono nanni e nanna. È da qui che è nato il mio cammino verso un mare immenso di termini e parole che mi ha permesso di conoscere questa lingua. È iniziato tutto come un gioco, ero una bambina molto loquace e amavo ripetere qualsiasi cosa mi dicessero.
Sono stati proprio i miei nonni a trasmettermi l’amore per questa lingua, tanto che questo amore mi ha portato a diplomarmi persino in greco moderno.
Tempo fa ho deciso di fare una passeggiata per le vie di Martano dove ero solita percorrere da piccola, a braccetto con mio nonno, il quale conosceva praticamente tutti gli anziani che parlavano griko. Ho sentito quest’esigenza perché ero curiosa di sapere se a distanza di anni ci fosse ancora nell’aria qualche parola di griko trasportata nel paese dal vento. Le mie speranze erano ben poche perché molti anziani purtroppo sono venuti a mancare e molti di loro magari stanno poco bene. Ma decisa ho intrapreso il mio “viaggio”. Con stupore e con immensa gioia da lontano sono riuscita a sentire parole grike. Mi sono permessa di avvicinarmi per salutarli e parlare un pochino con loro. A distanza di anni sono rimasti senza parole a sentire parlare “questa lingua” da una ragazza giovane. In effetti, l’ultima volta parlavo il griko come una bimba che aveva paura di relazionarsi es esprimersi in questa lingua. Questa cosa da un lato mi ha fatto sorridere, dall’altro mi ha fatto pensare al fatto che sono pochi a sapere parlare così perfettamente il griko come gli anziani. Loro mi hanno pregata e mi hanno detto: “Porta avanti il griko, noi siamo vecchi e le forze non le abbiamo più, non ce la facciamo, ma ci piacerebbe che la nostra cultura ed il nostro sudore di un duro lavoro effettuato potesse andare avanti e rivivere giorno per giorno”.
Ci sono stati già veri articoli sull’importanza di portare avanti il griko, lo so, infatti spero di non annoiarvi ma semplicemente di proporre una mia idea, che magari può essere sbagliata, ma ci voglio provare.
Sono persone molto grandi di età che conoscono solo le mura di casa loro ormai, sono orgogliose di sapere parlare il griko, ma si sentono indifese perché ritengono che la società di oggi non conosca più l’amore di una volta e i valori della famiglia. Molti di loro mi hanno raccontato che hanno sacrificato la loro vita per i figli, ma che per forza di cose sono rimasti soli o sono abbandonati a loro stessi senza affetti al loro fianco. Delle volte si sentono un peso per la società e per la famiglia. È proprio questo che mi ha spinto a scegliere di pubblicare questo articolo, ripetendomi nel trattare l’argomento.
Se noi li ringraziassimo? Perché è anche grazie a loro che noi ora viviamo in una società così modernizzata e che abbiamo imparato a vivere.
Molti genitori di oggi ritengono che imparare un’altra lingua come il griko sia uno stress inutile per il proprio figlio. E se invece vedeste il griko non come una lingua inutile e vecchia ma come una cultura che possa aiutare a far unire tanti bambini? Magari proprio insegnando il griko con attività ludiche?
È quello che ho percepito negli occhi di queste persone che nella vita hanno sofferto e fatto sacrifici per noi. Non credo che il griko insegnato in maniera divertente possa rovinare i più piccoli o i ragazzi. È una lingua che ci appartiene e che hanno creato i nostri bisnonni e trisavoli. Servirebbe soprattutto per i bimbi che hanno difficoltà a relazionarsi con altri ed esprimere meglio le sensazioni e la loro voglia di stare in compagnia. E chissà, magari un motivo per voi genitori e nonni per avere un’oretta in più da dedicare a voi stessi sapendo che i vostri figli e nipoti stanno unendo l’utile al dilettevole.
Vi andrebbe di tendere una mano a quelle persone che ci sono con la testa, ma che non sono in grado di agire di persona, pur avendo la voglia di sentirsi rivivere in noi giovani?
La gioventù va incoraggiata e aiutata, dandoci una mano riusciremmo insieme a fare qualcosa di bellissimo per il futuro mandando avanti una cultura così importante, sempre ricordandoci che sono stati proprio i più piccoli cittadini a farlo.
Colgo l’occasione di dedicare tutto questo a mio nonno ringraziandolo per tutti i valori che mi ha trasmesso dicendogli che sarà sempre nel mio cuore pur essendo molto lontano. Ringrazio anche mia nonna e i miei genitori per avermi insegnato la vita e la tradizione del mio paese pur essendo sempre vissuta all’estero.
Doriana Turi
Saluto al Peter Pan del Pop che ci ha lasciato
Il giorno 25 giugno 2009 all'ospedale Ronald Reagan UCLA Medical Center a Los Angeles (Usa) è morto il cantante e ballerino americano Michael Jackson. Lo trovarono nella sua abitazione a mezzogiorno con un arresto cardiaco, per un ora gli fecero la rianimazione e lo portarono al pronto soccorso, ma non poterono fare più niente per farlo tornare in vita. Michael aveva compiuto 50 anni l'agosto del 2008.
Con Michael Jackson il mondo ha perso un grandissimo talento che già da piccolo iniziò a cantare, dagli anni '60 insieme ai suoi fratelli nel gruppo The Jackson Five. Nel 1982, dopo diversi dischi che aveva fatto da solo, ebbe un grande successo con l'album «Thriller», che fino ad oggi con 109millioni di copie vendute resta l'album più venduto nella storia della musica pop.
Dagli anni '90 iniziarono ad andargli peggio le cose. Gli fecero due processi per pedofilia (l'anno 2005 venne prosciolto), si fece delle plastiche al naso che andarono male, sembra che divenne dipendente dai farmaci, che s'imbianchì la pelle, ma aveva una malattia, la vitiligo, che lo fece imbianchire, si sposò e si divorziò due volte.
Michael rimarrà nei nostri cuori per quel che era. Un ballerino che con i suoi movimenti ci lasciava a bocca aperta, un cantante che aveva la grazia di dio nella voce, un poveretto che prese i calci nel sedere dal padre. Era un uomo che voleva rimanere bambino per tutta la vita e si ruppe per questo mondo, come il suo eroe che nominava sempre nelle interviste, Peter Pan.
Thanks for all Michael, and may you rest in peace!
-Carlo Guarini-
Con Michael Jackson il mondo ha perso un grandissimo talento che già da piccolo iniziò a cantare, dagli anni '60 insieme ai suoi fratelli nel gruppo The Jackson Five. Nel 1982, dopo diversi dischi che aveva fatto da solo, ebbe un grande successo con l'album «Thriller», che fino ad oggi con 109millioni di copie vendute resta l'album più venduto nella storia della musica pop.
Dagli anni '90 iniziarono ad andargli peggio le cose. Gli fecero due processi per pedofilia (l'anno 2005 venne prosciolto), si fece delle plastiche al naso che andarono male, sembra che divenne dipendente dai farmaci, che s'imbianchì la pelle, ma aveva una malattia, la vitiligo, che lo fece imbianchire, si sposò e si divorziò due volte.
Michael rimarrà nei nostri cuori per quel che era. Un ballerino che con i suoi movimenti ci lasciava a bocca aperta, un cantante che aveva la grazia di dio nella voce, un poveretto che prese i calci nel sedere dal padre. Era un uomo che voleva rimanere bambino per tutta la vita e si ruppe per questo mondo, come il suo eroe che nominava sempre nelle interviste, Peter Pan.
Thanks for all Michael, and may you rest in peace!
-Carlo Guarini-
Iscriviti a:
Post (Atom)