martedì 1 gennaio 2008

Il mondo che cammina verso il tramonto (o kosmo pu pratì rtèa st'òmbi tu ìju)

noi che amiamo la lingua grika ci rivolgiamo sempre ad oriente, per trovare le radici che avevamo dimenticato o ci hanno nascosto.
Quest’anno mi è capitato di dirigere i miei occhi ad occidente, sono partito con la mia donna che doveva raccogliere informazioni per una tesi ed abbiamo camminato a piedi nel “Camìno de Santiago”. Così si chiama la strada che fammo i pellegrini per arrivare a Santiago di Compostela, in Galizia.
Una volta, molti secoli fa, uomini partivano da tutto il mondo cristiano (quello cattolico) per dirigersi a piedi verso la tomba dell’apostolo Giacomo, in Galizia.
Il pellegrino che arrivava là dopo aver camminato molti giorni, abbracciava il santo che siede sulla propria tomba e andava poi alla rive del mare seguendo il tramonto del sole, nel punto più ad ovest della terra allora conosciuta, prendeva una conchiglia e si incamminava per tornare a casa.
Con il tempo questo pellegrinaggio andò perdendosi e pochi andavano là quando il papa Leone XIII nel 1884 mandò a dire che là davvero riposano le ossa di san Giacomo. Da allora di nuovo si videro pellegrini a camminare sulla antica strada che porta a Santiago, per fare il “Camìno”, come si chiama là.
Il fenomeno crebbe ancora di più dopo che si fece la Gionata Mondiale della Gioventù a Santiago nel 1989 e dopo che il governo della Galizia e della Spagna si accorsero del bene che poteva venire a loro dai pellegrini. Negli anni novanta fecero pubblicità, aggiustarono bene la strada e aprirono “albergues” per ospitare gratis i pellegrini. E così sono sempre di più oggi quelli che si vedono camminare dai Pirenei fino a Santiago de Compostela. Alcuni fanni più di 700 chilometri, altri di meno iniziando da più vicino. Alcuni vanni perché sono molto credenti, altri tanto per fare un po’ di trekking.
Noi abbiamo fatto 110 chilometri e siamo partiti da Sarria il ventinove di Aprile. Arrivati là, abbiamo appreso che vuol dire “albergue”: un grande stanzone dove abbiamo dormito con altre venti persone, uomini e donne, una cucina dove ognuno poteva cucinarsi quello che voleva e un tavolo per sedere insiemi. Là abbiamo conosciuto qualche pellegrino per la prima volta: una donna della Germania che aveva camminato da sola già per più di 500 chilometri e due italiani che some noi partivano da là. La prima aveva perso il lavoro e stava facendo il “Camino” perché da molto lo desiderava, ma non sembrava farlo con tanta devozione religiosa; gli altri invece andavano perché uno di loro aveva fatto un voto quando la moglie stava per perdere il bambino durante il parto. Siccome le cose erano andate bene era partito con il padrino del figlio e stavano là, con uno zaino Invicta, pochi vestiti e nient’altro, neanche un k-way per corirsi dalla pioggia.
La mattina siamo partiti tutti, a piedi o in bicicletta, per camminare per 23 chilometri seguendo le frecce gialle che mostrano la strada. Pioveva e ci accorgemmo che non era così facile camminare con lo zaino in spalla nei boschi, sotto la pioggia, nel fango e sulle pietre. Arrivato a Portomarìn con le gambe che dolevano dalla fatica entrammo nel primo albergue per riposarci e dividemmo la stanza con un uomo di 70 anni che si chiamava Bernàrd, vero pellegrino, che aveva camminato da solo già per millesettecento chilometri a piedi dalla Bretagna, trovando rifugio nei conventi e soffrendo il freddo là dove non c’erano né albergues né segnali né un bar per riposarsi. Lo faceva per riappacificarsi con Dio e per portare a Santiago una lista di preghiere che aveva raccolto nel suo paese e durante il cammino. Così è là, incontri pellegrini, ci dormi e mangi insieme, ascolti i desideri, i pensieri, le cose successe durante il loro viaggio e racconti le tue, poi la mattina li lasci e gli dici “Bon Camino” per partire da solo e chissà se li rincontri di nuovo e chi troverai nella camera del nuovo albergue.
“Camino is not hotel, camino is albergue” diceva Bernard prima di dormire.
E così abbiamo passato cinque giorni, a dire il vero non abbiamo avuto molto tempo per pensare all’aspetto religioso, con la testa impegnata dalla fatica e dal dolore, raccogliendo notizie dagli altri pellegrini.
Abbiamo camminato così sotto il sole o la pioggia, mangiando panini con il “jamon serrano” (prociutto), polpo ed “empanàda”, una specie di pitta salentina.
L’ultimo giorno siamo saliti a Monte de Gozo, da dove si vede Santiago e siamo discesi con due altri italiani che abbiamo conosciuto, un boy scout di cinquant’anni che aveva perso tre figli ed era stato là già altre volte e un suo amico che voleva chiedere una grazia per suo figlio di cinque anni che ancora non riusciva a parlare.
Arrivato davanti alla chiesa che custodisce la tomba del santo, quello che chiedeva la grazia per il figlio inizio a piangere, ci siamo fermati un momento e poi siamo entrati dal “Portico de la Gloria” e siamo andati ad abbracciare il santo secondo la tradizione e abbiamo assistito alla “messa del pellegrino”.È finito così il nostro cammino e venuto il tempo di pensare a quello che avevamo passato: belli i luoghi che abbiamo visitato, le chiese ed i paesi, ma ci è piaciuta di più la gente incontrata: certo c’erano turisti nel Camino, ma ci siamo rallegrato di trovare anche qualche vero pellegrino, che portava nello zaino qualcosa che pesava più dei vestiti.

Francesco Penza

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