martedì 1 gennaio 2008

Taranta nuovo dio (Taranta cinùrrio teò)

Per quello che io sapevo e per quello che ancora ricordo, riterrei che “La Notte della Taranta” non abbia niente a che vedere con il fenomeno delle tarantate.
Il ballo della pizzica era il ballo della gioia, della festa, delle belle notti estive sull’aia. La pizzica la ballavano tutti. Grandi e piccoli. Giovanotti e signorine. Sull’aia, nelle case.
La Tarantata era esclusivamente donna. La Tarantata ballava il dolore. I sussulti, il contorcersi del corpo rappresentavano delle grida. Grida di aiuto. Grida di aiuto al mondo, alla gente, ai santi. A san Paolo.
La Tarantata ballava la solitudine. A Galatina. In piazza di fronte alla chiesa. Dentro la chiesa. La Tarantata ballava per San Paolo.
San Paolo guariva. San Paolo proteggeva.
E le genti ogni ventinove di giugno andavano a far visita a San paolo.
Andavano le tarantate per chiedere la grazia e ci andava l’altra gente per pregare il Santo per proteggerla dal morso del serpente e dal morso della Taranta.
E andava mia madre. Si univano diverse amiche e andavano a Galatina. A piedi. Io non la vidi mai partire. Si alzavano la mattina presto, molto prima del sorgere del sole, e andavano. La vedevo quando ritornava, ma non l’aspettavo mai con molta gioia. Eppure ritornava sempre con qualche cosuccia per noi piccolini. Ma io avevo paura per ciò che mi doveva raccontare. E ci raccontava delle tarantate: buttate per terra, come si contorcessero, come riuscissero a passare attraverso i pali delle sedie, come si arrampicassero sull’altare. E fare attenzione perché si avventavano sulla gente vestita con abiti un po' più appariscenti. E poi, ancora, per devozione dovevi attingere e bere l’acqua da un pozzo collocato all’interno della chiesa e pieno di serpi.
Non era un racconto, era la verità! Ed era tanta la paura, tanto il dolore, il patos che avvertivo, che bastava che mi passasse dalla mente o udire il nome Paolo per sentirmi a disagio.
Adesso ogni estate, ci sono diversi anni, qui in Grecìa Salentina si tiene una manifestazione chiamata “Notte della Taranta”: in ogni paese si tiene un concerto, e si chiude con un megaconcerto a Melpignano, dove si raccolgono migliaia di persone per ascoltare gente, artisti, che vengono da ogni parte a cantare al suono della pizzica. La gente si diverte. I giovani non vanno trovando altro. Passare la notte tranquillamente. Ballare senza pensieri fino al mattino.
Sono notti di gioia, di risa. Sono notti felici.
Quanto costano, quanto valgono queste manifestazioni? Non importa. Abbiamo diritto pure noi ad aver parte al debito pubblico.
Ma cosa ha da spartire tutto questo con la paura della taranta? Con il dolore della Tarantata? Dove sta nascosto san Paolo?
Mischia tutto e commetti peccato. Mischia tutto e arrechi danno. Mischia tutto e non si capisce più niente. Mischia tutto e recidi le radici.
Forse sarebbe stato meglio chiamarla “notte della pizzica”. Nessuno avrebbe potuto dire niente.
Forse.
E se le cose no stessero proprio cosi? E se al giorno d’oggi la vita non è poi così bella, cosi spensierata, cosi felice come può sembrare? E se la gente si sentisse sola più di una volta? Imbrogliata dalla vita che non mantiene ciò che promette? Con i soldi che non sono sufficienti per tutto il mese? Con i giovani che non riescono a trovare un lavoro? E’ possibile che si cerchi di scaricare la rabbia con la pizzica?
Morsicati dalla globalizzazione balliamo. Balliamo la pizzica. Balliamo la pizzica per esorcizzare il male. Balliamo la pizzica la notte della taranta.
Balliamo per la Taranta, nuovo Dio.
Può essere.

Giuseppe De Pascalis

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