martedì 1 gennaio 2008

Mietitura e Trebbiatura (Terìmmata ce alònimma)

Il sole dell’estate fa il mare splendente con colori un po’ azzurri e un po’ verdi, e i campi con le spighe di grano sembrano d’oro.
E’ arrivato giugno con il suo caldo ed in alcuni luoghi arriva il tempo delle messi; anche in Salento ed in Grecia. In Puglia ci sono molti campi in cui matura ottimo grano duro, conosciuto in tutta Italia; nel Salento con la farina di questo grano si fa la pasta e delle belle friselle, che la mia amica di Calimera ogni tanto mi invia tramite posta. Le preparo con olio, pomodori, poco origano, formaggio e diventano golosissime.
Di Friselle ce ne sono di diversi tipi in Grecia, ma quelle del Salento sono migliori.
Il Grano (Triticum sp) e l’orzo sono le prime piante che l’uomo coltivò migliaia di anni addietro e nella storia hanno rappresentato il più importante cibo del mondo.
Nell’antica Grecia e nell’antica Roma si raccontava che Triptòlemos sia stato il primo uomo a cui Dèmetra, dea della terra, abbia dato il seme e l’aratro e gli insegno ad arare e a seminare. Era ancora piccolino quando lo incontro Dèmetra. Lo amò e lo allevo come fosse suo figlio e gli insegno ad essere un uomo buono e retto che sappia intendere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Gli diede inoltre un carro d’oro volante e lo mando per il mondo ad istruire le genti a seminare.
Sino a pochi anni fa, quando ancora non c’erano macchine gli uomini aravano la terra, il più delle volte con una coppia di buoi, e seminavano; mietevano con la falce; con le bestie, cavalli e buoi, trebbiavano il grano.
Mia madre, che quando era giovane, sull’isola di Rodi, andava alcune volte con i suoi fratelli a trebbiare, mi ha raccontato delle tradizioni legate a questo avvenimento e mi recitò alcune canzoni che le donne cantavano mentre si trebbiava e che si assomigliano a quelle della Grecia Salentina:
Vorrei saper dove stai trebbiando,
per mandarti un bel fazzoletto
per asciugare il sudore che ti scende.

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In mezzo alle spighe di grano vieni!
Nessuno ci vede
All’infuori delle stelle e della luna
E non diranno niente quelli lì.
Molte delle vecchie tradizioni i ragazzi non le conoscono affatto. I grandi non le insegnano ai loro piccoli. La vita era una gran fatica per i nostri avi. In quel tempo le persone si recavano a mietere quando il grano era maturo iniziando dall’alba quando, il gallo cominciava a cantare, fino a sera. Ogni famiglia aveva le proprie messi, però quelle che avevano molti campi chiamavano atri uomini per lavorare.
Gli uomini quando tagliavano i grano facevano dei manipoli li legavano con lo stesso grano e li lasciavano per terra. Dietro di loro passavano i “jermitari” che gli raccoglievano e facevano il covone. Venti covoni costituiscono la biga di grano. Lo disponevano in bighe se pioveva, altrimenti se c’era il sole lo disponevano più diritto (aperto) affinché si seccasse fino a quando lo trasportavano vicino all’aia pulita e lo ammassavano in grandi bighe.
Per trebbiare, facevano girare le bestie sull’aia con una pietra legata dietro che passando sopra il grano sfregando le spighe. C’era anche un altro uomo che con la forca rivoltava le spighe finche il grano non era trebbiato per bene ed era pronto per essere ventilato.
Liberata l’aia dal grosso della paglia, alzavano con le mani o con una pala di legno il grano mischiato con le reste e con la paglia sottile e lo lasciavano affinché venisse ventilato.
Le reste volavano col vento mentre i semi del grano ricadevano sull’aia. Tutto ciò non si poteva fare se non soffiava abbastanza vento. Successivamente il grano trebbiato e ventilato veniva setacciato e veniva tolto il loglio (zizzania).
Nel caldo di giugno e di luglio, coloro che lavorano le messi, a mezzogiorno, si rifugiavano nella fresca ombra della quercia vallonea e li sotto mangiavano e si riposavano. Il mangiare consisteva in fagioli cotti, verdure, cipolla dell’orto, pane, formaggio ulive ed acqua fresca. Le donne parlavano e chiacchieravano, e le giovanette ridendo contente pensavano alla festa che si faceva a fine lavori: “il capucanale”.
Poche spighe di grano non venivano tagliate, venivano lasciate nei campi perché le cogliessero le giovinette. Con queste spighe si intrecciavano forme di bambole di cuori e di pettini. Venivano legate con filo colorato e poi, portate a casa, venivano appese al muro per tutto l’anno. Sono antiche tradizioni greche che stanno a significare che nelle spighe è custodita la forza della nascita del grano, che si mantiene vivo nella casa e porta benedizione per le semine dell’anno a venire.
Altra tradizione era la seguente: quando finiva la mietitura sull’ultimo covone tutti gli uomini mettevano la loro falce una sull’altra e inginocchiati recitavano una preghiera per il buon grano e per l’abbondanza che aveva dato la terra. Prima che le falci venissero riprese un uomo aspergeva d’acqua le teste dei mietitori e le loro falci come segno di benedizione affinché ci fossero abbondanti piogge per la semina del prossimo anno.
Il “Capucanale” l’ offriva la padrona di casa a tutti parenti e a tutti coloro che avevano partecipato ai lavori di mietitura. Si faceva festa con musica e balli, molto vino e molto cibo. Bisognava cucinare anche qualcosa fatto con la farina del grano in onore alla terra: maccheroni, pane di grano, “pittule” e dolci come le “cartellate” con sopra il miele; molta verdura e, dagli alberi, frutta fresca.
Nella mitologia della antica Grecia, Dèmetra era la madre della terra e del grano, però il dio Apòllona era colui che custodiva i campi e gli alberi e così quando finiva la mietitura veniva fatto a lui dedicato un ringraziamento, gli veniva offerto grano cucinato con dentro della frutta.
Primi di Apòllona facevano la stessa cosa per il dio Sole.
Dopo la trebbiatura veniva impastato il primo pane , “thàrgalos”, con la nuova farina e veniva offerto in onore a Dèmetra.
Nell’antica Roma dove vi era la festa di Ceriala, la gente faceva dei piccoli pani sempre in onore di Cères (Dèmetra).
Nel paese di mia madre ancora oggi si fa questo pane con il segno della croce sopra(stavròtsomo), lo lasciano la notte vicina alla fontana e la persona che lo trova sarà fortunato, poiché farà buone semine l’anno prossimo

“Buone cose hai fatto, buone parole hai? Detto
oggi rallegrati; come hai seminato, mieterai”
Aprile
traud.313

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